L'invecchiamento

Creato il 11 giugno 2012 da Informasalus @informasalus


L’invecchiamento è un processo multifattoriale

Un Medico, leggendo i miei articoli, mi ha recentemente posto la seguente domanda:
“Gentilissima Collega, … l’invecchiamento viene descritto come un progressivo viraggio verso la prevalenza dei Th2 con riduzione di IL-2 e quindi di IFN-gamma da parte delle NK e aumento contestuale di IL-4, IL-10, IL-6 e FNT, che sono citochine pro-infiammatorie. In tale processo, i fattori favorenti lo stato dominante di Th2 sarebbero: estrogeni, progesterone, cortisolo e catecolamine; al contrario, il DHA farebbe propendere verso il Th1.Sinceramente, mi sono sorte alcuni dubbi che mi piacerebbe se mi aiutassi a chiarire e che derivano dalla lettura di alcuni studi in spagnolo che non vorrei aver tradotto male. Per esempio, se in menopausa gli estrogeni calano, come possono essere induttori del Th2 pro invecchiamento? Grazie dell'aiuto che vorrai dedicarmi e complimenti vivissimi per i tuoi lavori sempre molto chiari e interessantissimi. Con stima, Dr. A. G., Dermatologo”.
Ho inviato a questo Collega la mia risposta, ma ho anche pensato di chiedere di pubblicarla affinché possa essere di una qualche utilità anche per altri.
Gli ho infatti risposto dicendogli che l’invecchiamento è un processo multifattoriale prodotto dall’interazione tra fattori genetici, ambientali e stili di vita ed è caratterizzato dal deterioramento dell’organismo in assenza di una precisa malattia. Il deterioramento è tempo-dipendente ma, avvenendo in epoche diverse nei vari individui, l’età cronologica non equivale all’età biologica o alla senescenza.
In generale, l’invecchiamento riduce gradualmente la capacità di misurarsi con fattori intrinseci ed estrinseci che causano stress e pertanto aumenta la probabilità di malattie e morte. Inoltre, il deterioramento del cervello, correlato all’età, provoca una varietà di deficit cognitivi (ragionamento fluido, velocità mentale, memoria e abilità spaziali) e deficit della coordinazione motoria. L’invecchiamento cerebrale è sostanzialmente influenzato da fattori ambientali (stress psicosociali cronici e agenti patogeni), ma si ritiene che uno dei più importanti fattori intrinseci sia l’infiammazione periferica e cerebrale.
Il sistema immunitario, endocrino e nervoso interagiscono e comunicano tra loro mediante ormoni, peptidi e neurotrasmettitori. L’interazione è caratterizzata dai recettori e dalle rispettive vie di segnalazione sulle cellule bersaglio. Durante l’invecchiamento avvengono diversi cambiamenti su molti livelli di questo sistema globale che dipendono da danno ossidativo, glicosilazione non-enzimatica, mutazioni mitocondriali, deficit del ciclo cellulare di controllo, disregolazioni mitotiche, instabilità genomica, accorciamento dei telomeri e altre patologie cromosomiche.
Alterazioni di un valore numerico di un parametro di un sistema può portare a dei cambiamenti del valore numerico di una variabile di un altro sistema e questi cambiamenti possono contribuire all’invecchiamento fenotipico. Attualmente si ritiene che l’infiammazione cronica e le malattie infiammatorie croniche possano accelerare il processo dell’invecchiamento.

ORMONI E INVECCHIAMENTO

Con l’avanzare dell’età si ha un declino dei livelli periferici di estrogeni e testosterone con un incremento di LH, FSH e SHBG. Inoltre, vi è una diminuzione della concentrazione di GH, insulin like growth factor-1(IGF-1), deidroepiandrosterone (DHEA) e deidroepiandrosterone solfato (DHEAS).
Le conseguenze cliniche di questi deficit, relativi all’età, sono variabili e includono una ridotta sintesi proteica, diminuzione della massa magra e della massa ossea, aumento della massa grassa, insulino resistenza, aumentato rischio cardiovascolare, aumento di sintomi vasomotori, affaticamento, depressione, anemia, calo della libido e declino delle funzioni immunitarie.
Negli anziani, il declino delle funzioni endocrine include, oltre alla ridotta secrezione ormonale, anche un cambiamento delle risposte dei tessuti e alterazione dei meccanismi di controllo temporale centrale. Ne consegue che negli anziani si ha, oltre alla riduzione degli estrogeni (menopausa) e testosterone (andropausa), anche quella dell’asse GH/insulin like growth factor-1 (somatopausa), dell’asse tiroideo e dell’asse HPA ossia cortisolo, DHEA/DHEAS (adrenopausa).
Il GH ha azione anabolica e lipolitica e la sua azione sui tessuti periferici è parzialmente mediata dall’IGF-1.
La secrezione di GH va incontro a notevoli cambiamenti durante la vita. E’ relativamente basso prima della pubertà, diventa molto alto nella maturità sessuale e nel periodo dell’adolescenza. Con l’avanzare dell’età la secrezione e la concentrazione sierica di GH si riduce, come pure quella di IGF-1. Il declino della concentrazione di GH e di IGF-1, che negli anziani è del 50%, è stata definita “somatopausa” e comporta una riduzione della sintesi proteica, una diminuzione della massa magra, della massa ossea e delle funzioni immunitarie.
Si ritiene che con l’età vi siano delle alterazioni nella regolazione ipotalamica di GH e quindi una riduzione dei livelli della stimolazione da parte del GHRH. I livelli bassi di IGF-1 riflettono la minore secrezione di GH piuttosto che una perdita della responsività epatica.
La somministrazione di GH negli anziani migliora la composizione corporea (aumento della massa magra), ma non aumenta la forza muscolare. Inoltre, la terapia ha effetti collaterali come comparsa di artralgie, sindrome del tunnel carpale, edemi, iperglicemia e aumentato rischio di neoplasie.
L’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide va anch’esso incontro ad alterazioni con l’età.
Il TSH si può ridurre lievemente e in particolare l’ampiezza della secrezione pulsante notturna di TSH si riduce. La secrezione di T4 rimane costante, mentre si riduce quella di T3 per riduzione della conversione periferica di T4 a T3.
Diversi dati hanno evidenziato che l’invecchiamento si associa ad alterazioni dell’asse HPA che mostra modificazioni dei meccanismi neuroendocrini che coordinano la secrezione pulsante e ritmica di cortisolo, come pure quella dei meccanismi che coordinano il rilascio di cortisolo . Infatti, con l’avanzamento dell’età, si rilevano livelli più elevati di cortisolo durante la notte o, più precisamente, la caduta notturna di cortisolo è meno pronunciata e la secrezione di cortisolo in risposta allo stress aumenta significativamente con l’età ed è circa tre volte più forte nelle donne anziane se comparata con la risposta rilevata negli uomini anziani. Ciò comporta maggiori rischi di atrofia ippocampale, alterazioni cognitive e della memoria, disturbi del sonno e riduzione della densità ossea con aumentato rischio di fratture, alterazioni della composizione corporea e obesità centrale.
Gli studi sugli effetti del trattamento estrogenico orale sui livelli di cortisolo ha evidenziato che il trattamento estrogenico comporta un incremento della CBG (corticosteroid-binding globulin). Ne consegue un aumento compensatorio della produzione di cortisolo, mentre la frazione libera di cortisolo rimane stabile. Questi cambiamenti non si osservano in risposta al trattamento estrogenico transdermico.
I maggiori cambiamenti a livello del surrene, correlati all’età, riguardano una riduzione della biosintesi di DHEAS. I livelli ematici di DHEA, che è prevalentemente presente in forma solfata (DHEAS) raggiungono un picco intorno ai 20 anni, declinano rapidamente e marcatamente dopo i 25 anni e a 80 anni i livelli si riducono del 10-20%.
La terapia sostitutiva non ha mostrato un costante miglioramento del benessere, dell’umore e degli aspetti cognitivi e sessuali.
Negli anziani si osserva un marcato dimorfismo sessuale nella regolazione degli ormoni surrenalici. In particolare nelle donne anziane si osservano livelli più bassi di DHEAS e più alti di cortisolo se confrontati con i livelli degli uomini della stessa età.
Situazioni di stress cronico e le aumentate attività dell’asse HPA si associano a sindrome metabolica e diabete 2. Vi sono infatti stretti legami tra asse dello stress e sistema glucoregolatorio. Si ritiene che lo stress cronico faciliti l’insorgenza di sindrome metabolica influenzando il deposito di grasso viscerale, diminuendo la sensibilità all’insulina o modificando le abitudini alimentari e l’orientamento verso cibi di consolazione poco sani. Alternativamente, l’impatto negativo dell’intolleranza al glucosio su cervello può portare a iperattività dell’asse HPA e a sua volta elevare i livelli di cortisolo.
EFFETTI INIBITORI DEI GLUCOCORTICOIDI SUL SISTEMA IMMUNITARIO
I fattori di trascrizione possono regolare molti geni. Di conseguenza, l’inibizione dei fattori di trascrizione ad azione proinfiammatoria, da parte dei glucocorticoidi, modula miriadi di risposte.
Il ruolo centrale dei glucocorticoidi, nel controllare le risposte immunitarie, suggerisce che vi sia una stretta e vicendevole regolazione tra vie infiammatorie e antinfiammatorie.
Durante la risposta infiammatoria, le citochine infiammatorie, IL-1, IL-6 e TNF-α mediano in modo prevalente il feedback regolatorio sull’asse HPA. Queste citochine possono indipendentemente, ma anche sinergeticamente, stimolare il rilascio di ACTH. Ciò comporta un incremento della produzione di glucocorticoidi che controbilancia la risposta infiammatoria. Meccanismi difettosi nel funzionamento dell’asse HPA possono quindi comportare una maggiore suscettibilità nei confronti delle malattie infiammatorie. Difetti dell’asse HPA incrementano la suscettibilità e la severità dell’infiammazione. L’iperattività dell’asse HPA, in assenza di infiammazione come nel Cushing, causa immunosoppressione e aumenta la suscettibilità all’infiammazione.
I glucocorticoidi hanno effetti immunosoppressori e uno dei meccanismi coinvolti è legato all’attivazione di geni che regolano negativamente l’infiammazione. Infatti, i glucocorticoidi sopraregolano diversi geni antinfiammatori. Ad esempio, quello che regola la sintesi di lipocortina. Questa proteina inibisce l’enzima fosfolipasi A2, responsabile della scissione dei fosfolipidi di membrana e della conseguente formazione di acido arachidonico. Questo è un acido grasso poliinsaturo a lunga catena, presente nei fosfolipidi di membrana. E’ precursore di importanti metaboliti intracellulari, come prostaglandine, leucotrieni, trombossani e altre sostanze che svolgono un ruolo di mediatori chimici di fenomeni immunitari, quali anafilassi, allergia e infiammazione.
L’induzione della sintesi di lipocortina, da parte dei glucocorticoidi, blocca la formazione di acido arachidonico e dei suoi metaboliti e può in parte spiegare l’effetto immunosoppressivo e antinfiammatorio dei glucocorticoidi.
In ogni caso, gli effetti antinfiammatori dei glucocorticoidi, sono dovuti in modo prevalente all’inibizione dei fattori di trascrizione, proinfiammatoria, come l’NFkB, AP-1 e NF-AT,. Questi sono attivati da molti stimoli e sono considerati dei fattori fondamentali nella risposta infiammatoria.
L’endotelio vascolare ha un ruolo cruciale nelle risposte immunitarie direzionando i leucociti nel sito di infiammazione. I glucocorticoidi, regolano negativamente l’espressione delle molecole di adesione (I-CAM-1, E-selectine) inibendo la risposta infiammatoria. Parallelamente a questi effetti inibitori, i glucocorticoidi sopraregolano alcuni geni, proinfiammatori, correlati alla risposta immunitaria innata. Questa sopraregolazione di geni proinfiammatori, da parte dei glucocorticoidi, suggerisce un interessante meccanismo discriminante tra immunità innata, e acquisita. È stato ipotizzato che i glucocorticoidi stimolino la clearance di antigeni promuovendo così la risposta immunitaria innata, mentre inibiscono la risposta immunitaria acquisita.
I glucocorticoidi, inibiscono l’espressione di diverse citochine, come IL-1, IL-6, IL-8, IL-11, IL-12, IFN-γ, e TNF-α,. Inoltre, modulano l’espressione di diversi recettori per le citochine, come quelli per il TNF-α, IFN-γ, IL-1, IL-2, IL-6, IL-12. In particolare, sottoregolano il recettore dell’IL-4 (che stimola la risposta TH2, ed è correlata alle reazioni allergiche).
Si ritiene che i glucocorticoidi agiscano a livello multiplo sulla risposta immunitaria. Infatti, possono attivare l’espressione di proteine antinfiammatorie (per es. lipocortine), possono inibire l’attività trascrizionale di fattori di trascrizione proinfiammatoria (per es. NFkB), possono alterare la produzione di citochine e ridurre l’espressione dei recettori per le citochine. Questi meccanismi possono avere diverse conseguenze sulle risposte immunitarie, comprendono anche un’inibizione della migrazione dei leucociti (per inibizione dell’espressione di molecole di adesione) e un’inibizione dello sviluppo dei linfociti T.
I glucocorticoidi inibiscono selettivamente la risposta TH1 (selezionata dall’IL-12) e stimolano la risposta TH2 (orientata in senso anticorpale). Ciò è dovuto principalmente all’inibizione della produzione di IL-12 da parte delle cellule che presentano l’antigene. Inoltre, i glucocorticoidi inibiscono anche l’espressione dei recettori dell’IL-12 sulle cellule T e sulle cellule NK.
Si può sintetizzare che i glucocorticoidi possono inibire la risposta immunitaria attivando l’espressione di proteine antinfiammatorie, possono inibire l’attività trascrizionale di fattori di trascrizione proinfiammatoria, possono alterare la produzione di citochine e ridurre l’espressione dei recettori per le citochine. Questi meccanismi hanno diverse conseguenze sulle risposte immuni, comprendono anche lo sviluppo dei linfociti T e la migrazione dei leucociti verso il sito di infiammazione, per inibizione dell’espressione delle molecole di adesione.
Il ruolo immunomodulatorio dei glucocorticoidi comprende anche alcuni effetti di stimolo sul sistema immunitario che dipendono dai loro livelli plasmatici. In generale, i glucocorticoidi sopprimono la risposta TH1 e incrementano la risposta TH2. In particolare, sono in grado di incrementare la produzione di immunoglobuline e di controllare il traffico e la compartimentazione dei linfociti secondo un ritmo circadiano che, nei soggetti sottoposti ad attività diurna e riposo notturno, è caratterizzato da minimi livelli di linfociti circolanti 3-4 h dopo il picco plasmatico del cortisolo.
STEROIDI SESSUALI E IMMUNITÀ
Azioni sul timo
Gli steroidi sessuali, di origine gonadica e surrenale, intervengono sulla modulazione della risposta immunitaria ed esercitano effetti simili a quelli dei corticosteroidi, sebbene di entità minore. Questi ormoni, in particolare interagendo a livello del timo, inducono modificazioni fondamentali per lo sviluppo della risposta immunitaria e sono responsabili di importanti diversità nella risposta immunitaria nei due sessi.
La presenza di recettori specifici per gli steroidi sessuali, a livello del timo, ha richiamato l’attenzione dei ricercatori sulla possibilità che il timo rappresenti il target principale per la trasduzione di messaggi tra gonadi e sistema immunitario.
Studi sperimentali basati sulla gonadectomia, effettuata su animali maschi e femmine, hanno evidenziato un effetto di stimolo sulla blastizzazione in vitro dei linfociti T e un ritardo dell’involuzione timica se la castrazione viene effettuata in animali prepuberi, oppure un’ipertrofia timica se la castrazione viene effettuata dopo la pubertà. Viceversa, il trattamento cronico con steroidi sessuali determina involuzione timica, inibisce le funzioni dei linfociti T e di conseguenza deprime l’attività cellulo-mediata.
Azioni sulla risposta immunitaria
Gli androgeni inibiscono il CRH, diminuiscono i livelli di cortisolo e agiscono come naturali immunosoppressori. Essi inibiscono le risposte TH1 e TH2 e quindi sia le risposte umorali, sia quelle cellulo-mediate.
Gli estrogeni e in particolare il 17β-estradiolo stimolano il rilascio di CRH e incrementano la produzione di cortisolo. A livelli fisiologici, ossia bassi, stimolano la risposta TH1 (IL-2, IFN-γ) e a livelli farmacologici, ossia alti, stimolano la risposta TH2 (IL-4, IL-10, IL-5, TGF-β). Inoltre incrementano la produzione di anticorpi attivando i linfociti B.
Il progesterone determina linfocitopenia e, come gli androgeni, inibisce la risposta TH1 e TH2. Nella fase iniziale della gravidanza il progesterone, prodotto dal corpo luteo, stimola la risposta TH2 e inibisce la risposta TH1. Inoltre, le citochine TH2 sono prodotte non solo dalle cellule immunitarie, ma anche dalla placenta. Nel secondo e terzo trimestre di gravidanza gli estrogeni ad alti livelli stimolano la risposta TH2. Pertanto durante la gravidanza viene stimolata la risposta umorale (TH2) e viene inibita la risposta cellulo-mediata (TH1). Il progesterone partecipa nella prima parte della gravidanza, mentre gli estrogeni assumono importanza nella seconda fase quando sono prodotti in grandi quantità dalla placenta.
Steroidi sessuali e malattie autoimmuni
Le malattie autoimmuni, in particolare l’artrite reumatoide (RA) e il lupus eritematoso sistemico (LES), sono più frequenti nelle donne.
Diversi studi, condotti in pazienti di entrambi i sessi affetti da RA e LES, hanno evidenziato una riduzione dei livelli sierici di DHEAS, testosterone e progesterone. Questi dati suggeriscono un’accelerazione della conversione degli androgeni a 17-β estradiolo. Inoltre, sono state trovate alte concentrazioni di estrogeni, in particolare nel liquido sinoviale di pazienti di entrambi i sessi con RA.
Recenti studi hanno evidenziato che le citochine infiammatorie (TNF-α, IL-1, IL-6), particolarmente incrementate nella sinovite da RA, sono capaci di stimolare l’aromatizzazione degli androgeni a 17-β estradiolo nei tessuti periferici. Anche in pazienti affetti da LES è stato osservato un incremento dell’aromatizzazione, livelli sierici diminuiti di androgeni e incrementati di estrogeni.
Un aspetto interessante da sottolineare è che la produzione gonadica di steroidi sessuali non è responsabile degli effetti metabolici osservati nei pazienti con RA e LES. Infatti, molti dei metaboliti misurati sono convertiti in periferia e ciò è indipendente dal genere. Il fenomeno sembra essere solo dipendente dallo stato infiammatorio dei tessuti. Inoltre, si è visto che il 17-β estradiolo ha un duplice ruolo, pro e antinfiammatorio, nelle malattie croniche infiammatorie che sono state correlate rispettivamente a basse e alte concentrazioni di 17-β estradiolo. È possibile che, a seconda dei livelli periferici di estradiolo, si modifichi la conversione in metaboliti proinfiammatori (16α-idroestrone) o antinfiammatori (2-idroestrogeni).
SISTEMA IMMUNITARIO E INVECCHIAMENTO
L’invecchiamento comporta un deterioramento del sistema immunitario, in particolare si ha un indebolimento delle cellule coinvolte nell’immunità innata e una riduzione delle cellule T naive (vergini).
I linfociti T vergini escono dal timo maturi, nella specificità del loro T cell receptor per il riconoscimento antigenico, ma non hanno ancora incontrato l’antigene. Quando questo viene presentato al linfocita naive, da parte delle cellule APC (Antigen presenting cell), il linfocita T viene indotto a proliferare per poi maturare alla fase effettrice citotossica, per i linfociti CD8 che hanno riconosciuto l’antigene su un MHC di classe I, e T helper per i linfociti CD4 che hanno conosciuto l’antigene su un MHC di classe II.
Nell’invecchiamento, oltre all’indebolimento della risposta adattiva a nuovi antigeni, si osservano dei cambiamenti in un certo numero di citochine chiave. Si ha tendenzialmente un aumento della risposta Th2 a spese della Th1 e un aumento di IL-6, ma soprattutto si ha un aumento spontaneo della secrezione citochinica, in particolare di IL-6 correlata all’età.
L’IL-6 stimola la sintesi di proteine epatiche di fase acuta e provoca cambiamenti metabolici. Inoltre, la situazione citochimica periferica infiammatoria influenza le funzioni cerebrali.
L’IL-6 e le altre citochine infiammatorie agiscono sul cervello per via nervosa, mediata dal vago, e per via ematica, superando la barriera ematoencefalica. Inoltre, il cervello è in grado di sintetizzare le stesse citochine periferiche. Per cui stimoli infiammatori periferici stimolano la produzione di citochine da parte della microglia.
Le cellule della microglia nel cervello agiscono come APC e producono citochine infiammatorie. Normalmente sono quiescenti, ma vengono attivate da traumi cranici, ischemia, malattie neurodegenerative ed infezioni. Inoltre negli anziani la microglia presenta anomalie morfologiche e si ritiene che queste dipendano dalla risposta infiammatoria intracerebrale e possano sostenere lo sviluppo di malattie neurodegenerative associate all’età.
L’aumento di IL-6 nel cervello degli anziani è attribuito ad aumentata produzione centrale e si è visto che l’invecchiamento influenza i fattori di trascrizione (NFkB) che regolano il gene dell’IL-6.
Il cervello degli anziani, oltre all’IL-6, produce una maggiore quantità anche di IL-1β e una minore quantità di IL-10 (antinfiammatoria).
Il danno ossidativo è un altro fattore importante per l’invecchiamento. Il cervello è particolarmente sensibile al danno ossidativo essendo ricco di acidi grassi polinsaturi, il principale target per la perossidazione lipidica. Gli antiossidanti nella dieta hanno effetti protettivi e possono limitare i deficit cognitivi e motori correlati all’età.
L’invecchiamento esacerba la neuroinfiammazione e il Sickness Behavior quando il sistema immunitario innato è attivato e questa esagerata risposta neuroinfiammatoria può comportare quei deficit cognitivi registrati negli anziani in corso di infezione, esempio polmonite.



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