“L’inverno di Frankie Machine” è un romanzo di Don Winslow, pubblicato in Italia da Einaudi.
Frank è sulla sessantina, vive a San Diego, per lavoro vende esche e rifornisce ristoranti. Ha una ex-moglie, una figlia che va all’università e un’amante. Si diletta col surf, è amato dalla gente e si gode la vita.
Ma chi era Frank Machianno? Un killer di Cosa Nostra americana, detto Machine per l’abilità e il sangue freddo.
Un passato così, lo sanno tutti, non va via. Ti segue, come un’ombra silenziosa, e quando meno te lo aspetti ritorna, distruggendo tutto ciò che hai fatto nel frattempo, come uno tsunami. Frank si ritroverà costretto a fare un favore a un “amico” a cui deve mostrare “rispetto” in quanto boss. Peccato che le cose degenerino presto, costringendo Machine a una fuga disperata, fatta di scontri armati e ricordi dolorosi.
I personaggi sono credibili, tutto sommato aderenti all’archetipo di mafioso americano immortalato da alcune pellicole, Quei bravi ragazzi in testa. Ciò non entra minimamente in contrasto con le aspettative del lettore, ma contribuisce a rendere il romanzo un po’ piatto. Di Frankie Machine veniamo a sapere tutto, da come si prepara la colazione, al primo omicidio, passando per il Vietnam e le esperienze sentimentali. Ciò lo rende “vivo” agli occhi del lettore. L’eccessiva abilità del personaggio, però, a tratti lo fa sembrare più uno 007 che usa “capisci” come intercalare, piuttosto che un mafioso canonico.
La caratteristica principale dello stile di Winslow è la minuziosità. Niente è lasciato al caso, ogni piccola cosa viene sviscerata e mostrata al lettore, senza però incappare nel cosiddetto “spiegone”. Ciò è sicuramente indice di talento, di padronanza del mestiere. Il romanzo è scorrevole e – se si escludono le prime 40 pagine preparatorie – mai noioso. Nota stonata: gli ultimi due capitoli, avrei preferito che non ci fossero.
Passando a una valutazione soggettiva, devo dire che mai ho avuto così tante difficoltà nel recensire un romanzo come in questo caso. Il libro è scritto molto bene, ma la storia non brilla. E’ l’ennesima vicenda di mafiosi, e l’idea di un criminale che vuole uscire più volte dal giro ma non ci riesce ricorda troppo “Il Padrino”. Winslow ha attinto in modo forse troppo evidente da Quei bravi ragazzi, Casinò, le vicende del killer della malavita Richard “The Iceman” Kuklinski (tutte e tre storie vere, al contrario del Padrino, da cui ha scelto di attingere pochissimo) e in generale dagli archetipi della mafia sfruttati dalle pellicole di genere.
Vi chiederete: e allora perché l’hai comprato? Perché mi aspettavo qualcosa di più profondo di un romanzo ben scritto e dal buon ritmo. Non so, riflessioni sulla vita, cose adatte a un vecchio che “riavvolge il nastro”. Qualcosa all’altezza dello spessore introspettivo / esistenziale de “I Soprano”, ecco cosa mi aspettavo. Il finale consolatorio e le scene “alla Rambo”, poi, danno il colpo di grazia definitivo all’alone tragico che mi sarei aspettato, ma che, di fatto, non c’è.
Aniello Troiano