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L'iperico, un antidepressivo naturale

Creato il 10 luglio 2012 da Informasalus @informasalus

copertina iperico
L'iperico, un antidepressivo naturale

L’iperico è una pianta dai molti nomi e dalla lunga storia. Il fatto che l’inizio della sua fioritura coincida con l’inizio dell’estate ha creato nelle tradizioni di molti popoli un’associazione tra il mistico e il religioso fra feste d’inizio estate e iperico. A ciò è dovuto il nome di erba di San Giovanni (San Giovanni Battista e non San Giovanni l’evangelista) diffuso in molte nazioni europee.
L’iperico, coi suoi fiori giallo oro, rappresenta indubbiamente il sole al massimo della sua potenza, il suo simbolo e talismano; ma evidentemente qualcos’altro – e questo qualcos’altro non può essere stato che la sua reale, comprovata efficacia – ha spinto a scegliere esattamente questa pianta fra tante altre per celebrare l’estate e il sole.
Visto che l’iperico viene considerato una sorta di pianta-magazzino di energia solare e visto che questa energia solare è in crescita nella prima parte del giorno, sarà opportuno e necessario, per avere i massimi benefici dall’uso della pianta, raccoglierla nella mattinata.
È fin dall’antichità, infatti, che l’iperico è pianta principe di medici e ospedali militari per trattare e far cicatrizzare velocemente ferite, arti amputati e, per estensione, per la cura di ulcere di vario genere. Sembra, fra l’altro, che i veri protagonisti della diffusione dell’iperico nelle varie regioni europee siano stati proprio i soldati romani che, oltre alle ferite, curavano e alleviavano con l’olio di iperico i dolori ai piedi messi a mal partito da lunghe ed estenuanti marce. Il decotto serviva, inoltre, per guarire renella e ulcere dell’uretere, disturbi dei reni, gotta e reumatismi.
Connessi a questi che chiameremo utilizzi medici fondamentali dell’iperico – cura di ferite/emorragie/ulcere, cura di disturbi connessi a un eccesso di umidità nell’organismo, antidoto alla tristezza e alla malinconia – vi sono altri utilizzi, più o meno estesi nella tradizione popolare e poi riportati nei pochi testi (soprattutto erbari) che nelle varie nazioni saranno pubblicati fino all’inizio del Novecento. Fra questi: l’infuso (per spurgare il catarro dai polmoni o purificare intestini e percorsi urinari) e la lozione a caldo da applicare su traumi alla colonna vertebrale e per guarire piaghe, contusioni e altre affezioni della pelle.
Mentre l’uso dell’iperico continuava a livello popolare ed empirico, l’approccio alla medicina mutava col mutare dei tempi, allontanandosi progressivamente dai rimedi del passato e perseguendo prospettive sempre più legate a una visione atomistica sia dell’uomo che della malattia. Si impone gradualmente infatti una concezione di scienza che ha al suo primo posto non già l’obiettivo della conoscenza come grande impresa spirituale e destino dell’uomo (Paracelso) ma quello del conoscere per possedere e utilizzare, una scienza che tende a scomporre più che a ricomporre e che sempre più si propone come unica possibile visione del mondo e della realtà, escludendo, spregiando e svilendo tutto ciò che non è misurabile, quantificabile, riproducibile e trasferibile in dati e numeri.
La Rivoluzione industriale non fa che accelerare questo processo portando all’emarginazione tutte quelle correnti di pensiero che non accettano o rientrano nella prospettiva prima delineata. Le cure tradizionali a base di erbe vengono ora relegate nella categoria superstizione. Qualunque concetto o visione del mondo che non rientri in questa categoria di scienza è superstizione. Il punto culminante di questa tendenza storica è oggi sotto gli occhi di tutti.
Un lungo oblio, almeno dal punto di vista della medicina ufficiale, comincia per l’iperico come per l’approccio naturale alla cura delle malattie. Nasce e si sviluppa la chimica e l’industria del farmaco. La riscoperta dei rimedi naturali è cosa recente.
Nonostante queste ed altre tendenze della medicina che chiameremo naturale fossero del tutto rifiutate dalla medicina convenzionale del tempo, anzi ostacolate e a volte ridicolizzate in tutti i modi possibili, esse riuscirono ugualmente a costruirsi un loro seguito (formato anche da persone di un certo prestigio sociale) che dalla Germania si estese via via in tutto il mondo.
E ciò ci riporta immediatamente all’iperico e alla sua riscoperta nell’epoca attuale.
Uno dei fattori più importanti che ha condotto in tempi recenti alla riscoperta dei poteri di quest’antichissima pianta fu la pubblicazione di uno studio sul British Medical Journal nell’agosto del 1996. In questo studio vennero esaminati e confrontate 23 diverse ricerche svolte soprattutto in Germania, per un totale di 1.757 persone o pazienti coinvolti. Per molti studiosi, medici e scienziati fu la prima volta che su una rivista scientifica di fama internazionale si poteva leggere – probabilmente in modo del tutto inatteso – qualcosa che avesse il timbro dell’ufficialità sul tema dell’iperico e del suo uso contro la depressione. L’epitome della meta-analisi («l’estratto d’iperico è più efficace del placebo nel trattamento di disturbi depressivi di tipo medio o moderato») risuonò come un buon inizio.
L’iperico, dunque, aveva dimostrato la sua utilità nel trattamento della depressione. Scarso risultato, invero, quello di far meglio di un placebo. Ma spesso – non ci si pensa molto ma è così – è la stessa idea di essere sotto cura, l’idea e il sentimento, l’emozione che qualcuno si stia interessando di te a predisporre la parte profonda di un paziente a un pronto processo di guarigione. Oppure: il nostro organismo ha già trovato da solo la via della guarigione, che ci diano una pillola vera o una finta ha poca importanza.
Un fattore molto importante e dalle ampie ripercussioni che ha permesso la riscoperta dell’iperico è stato senz’altro quello dei cosiddetti effetti collaterali o secondari. L’iperico non aveva dimostrato, nei vari studi sottoposti ad analisi comparata, alcun effetto collaterale degno di nota. In altri studi vennero registrati solo qualche disturbo di stomaco nel 2% dei partecipanti e qualche reazione allergica di tipo cutaneo nello 0,4%.
Questo, come vedremo, non si verificherà molto spesso in altri studi svolti successivamente. La maggior parte dei 23 studi presi in esame nella meta-analisi del British Medical Journal aveva assegnato a caso i pazienti a tre gruppi diversi, uno trattato con estratto d’iperico e gli altri due trattati o con placebo o con un antidepressivo convenzionale. I medici avevano analizzato i pazienti sia all’inizio che alla fine dell’esperimento, utilizzando le valutazioni standard accettate a livello internazionale sui vari tipi di depressione (già, cos’è la depressione, come si fa a misurarla e a dire quando è lieve, media o moderata, o addirittura grave? Ci devono essere ovviamente degli standard internazionali riconosciuti che vedremo velocemente in seguito).
Lo studio-analisi comparata fu dunque solo un inizio brillante: l’iperico era sì più efficace del placebo, ma nessuno si sentì di affermare in modo chiaro che era superiore ai vari antidepressivi; erano necessari altri studi! Il novanta per cento degli articoli sulle riviste scientifiche internazionali si conclude così: sono necessari altri studi. Inoltre, otto settimane (tanto erano durate per lo più le varie prove) erano ancora poche per avere un’idea chiara sull’efficacia dell’iperico a lungo termine e questo a maggior ragione se bisognava confrontarlo con altre sostanze di sintesi destinate alla cura delle forme di depressione più gravi.
Ciò poneva e pone un altro problema: il mercato degli antidepressivi era ed è in continua espansione, nuove formule e nuovi prodotti compaiono sul mercato a distanza di mesi; in più ogni farmaco va adattato alle caratteristiche individuali di ogni paziente. Difficile dunque fermarsi e mettere la parola fine rispetto a qualcosa di così complesso come la depressione che coinvolge milioni di individui; bisogna continuamente sperimentare e ricercare nuovi farmaci più efficaci e al contempo privi di effetti secondari, in un’attività senza sosta che è diventata col tempo una vera e propria catena… di montaggio, una vera e propria industria di cui studiosi e ricercatori sono parte rilevante.
I preparati a base d’iperico utilizzati per le prove, inoltre, erano quanto di più lontano dallo standard si possa immaginare: estratti liquidi, capsule, pasticche, erba macinata; di conseguenza anche il dosaggio aveva posto seri problemi. I risultati furono dunque definiti semplicemente incoraggianti, promettenti. Il processo era comunque avviato e presto vennero pianificati molti altri studi sia in Europa che negli Stati Uniti.
In quest’ultimo caso, però, l’intento principale di studi e ricerche sembrò essere quello di verificare – se non mettere in dubbio – la veridicità dei risultati raggiunti dai ricercatori tedeschi a favore dell’utilizzo di iperico, più che confermarne l’efficacia e i vantaggi per la salute pubblica. È anche vero, però, che negli Stati Uniti le case farmaceutiche sembrano avere diversi problemi a ricavare adeguati profitti da un investimento destinato a scoprire eventuali benefici derivanti dai cosiddetti semplici, cioè dalle piante, principalmente perché è molto difficile brevettare e sfruttare a scopi commerciali eventuali principi attivi da esse derivati. Questa biforcazione obbligata – o il farmaco di sintesi oppure il mercato quasi selvaggio e senza regolamentazione dei supplementi – crea enormi squilibri per il pubblico statunitense.
Due anni prima, negli Stati Uniti, su una rivista un po’ meno prestigiosa e nota del British Medical Journal, denominata Journal of Geriatric Psychiatry and Neurology – una rivista destinata soprattutto a specialisti di geriatria e problemi delle persone anziane – era stato pubblicato un numero speciale interamente dedicato all’iperico. Il titolo del numero speciale parlava chiaro: Hypericum: A Novel Antidepressant.
Si trattava di ben 17 documenti di ricerca (per la maggior parte di studiosi tedeschi) tutti puntati sull’importanza dell’iperico nel trattamento di disturbi più che altro mentali degli anziani. 
Il fatto che siano 17 i documenti pubblicati nel supplemento della rivista statunitense di geriatria e che siano ben 23 quelli sommariamente analizzati nel compendio del British Medical Journal, a distanza di soli due anni, significa che già allora si doveva essere in presenza, soprattutto in Europa e in particolare in aree di lingua tedesca, di una enorme mole di prove e documenti a favore dell’utilizzo di iperico. Una buona percentuale dei 17 studi (circa otto) confrontarono l’efficacia dell’estratto d’iperico con normali farmaci antidepressivi dimostrando senza ombra di dubbio che l’iperico era almeno altrettanto efficace nel trattamento di persone afflitte da depressione lieve o moderata.
Gli effetti collaterali erano ovviamente minori nell’iperico che nei farmaci di sintesi; erano addirittura minori rispetto ai placebo (forse per il cattivo sapore delle false pillole?). I risultati riguardo alla superiorità dell’iperico rispetto agli antidepressivi convenzionali nel trattamento di pazienti con depressione grave non furono giudicati esaurienti, ciò perché i pazienti furono trattati con dosi inferiori rispetto al normale di antidepressivo (principalmente imipramina).
La pubblicazione del numero speciale del Journal of Geriatric Psychiatry and Neurology e il rapido tamtam che ne seguì provocarono un aumento vertiginoso nelle vendite di prodotti a base di iperico, prima limitato a quella fitta rete di negozi (health food stores) di prodotti naturali diffusi fin dagli anni ’70 del Novecento in ogni angolo di Stati Uniti e Canada. L’incremento delle vendite coinvolse rapidamente anche i banchi dei supermercati e il settore dei cosiddetti supplementi alimentari (quindi senza regolare approvazione dell’ente preposto46 alla concessione del permesso di vendita di prodotti farmaceutici).
L’iperico divenne nel giro di qualche anno da un perfetto sconosciuto una sorta di panacea; molte aziende alimentari, sfruttando la ventata di popolarità della pianta, cominciarono ad aggiungerne piccole quantità in preparati da prima colazione, cereali, bevande alla frutta, cibo in scatola, patatine e addirittura barrette di cioccolato. Molti veterinari cominciarono a prescriverlo per ridurre l’ansia in animali come cani e gatti soggetti a distacco o allontanamenti dal padrone o per disturbi legati all’aggressività. Tutto questo ricevette un ulteriore stimolo dalle notizie circolanti sull’utilizzo di massa dell’iperico in nazioni come la Germania, dove già dal 1992 le vendite di iperico erano aumentate fino ad accaparrarsi il 27,3% del mercato degli antidepressivi.
Estratto da "L'Iperico, l'antidepressivo naturale e le sue proprietà antinfiammatorie e antibatteriche"



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