Quando le “Vedove dell’Iraq” compaiono nelle notizie non ne sono protagoniste.
- Sono l’argomento esplicativo delle violenze Isis, della condizione miserevole dei Yazidi o di altra etnia minoritaria. In realtà nel dopo Saddam la “fabbrica delle vedove” è la persecuzione portata avanti dagli Sciiti, protetti dal governo internazionalmente sostenuto, contro i Sunniti.
– Altre volte, sono comprese nel discorso sulle privazione dei diritti delle donne, e in questo caso c’è il sentore di un sottofondo islamofobico, una stigmatizzazione di tradizioni locali presentate come dettami repressivi dell’Islam.
Essere una donna sola in un paese sconvolto dal conflitto significa avere “tutti contro”.
La condizione di single, anche se non scelta, le mette ai margini della società: non c’è il lavoro, non c’è il denaro per una casa e la sopravvivenza. Si vive della carità delle ong.
Oltre agli indifferenti, nella società vi sono i “lupi”. Significa che una donna vedova è soggetta allo sfruttamento, subisce aggressioni e rapimenti. La si può punire con la morte in base ad accuse false. Il governo guarderà da un’altra parte.
E’ il loro numero che aggrava la situazione, perché è l’ampiezza del fenomeno a far saltare le protezioni di cui la donna sola godeva generalmente in una società a base islamica, per quanto l’Iraq fosse riconosciuto come il paese più laico sotto il regime di Saddam Hussein. Uno stato nel quale la poligamia è regolamentata e resa legale solo quando autorizzata, caso per caso, dal pronunciamento di un giudice.
In una società islamica non sconvolta da decenni di conflitti una donna che abbia perso il marito non rimane sola.
Oltre all’appoggio del proprio fratello maschio o di uno zio materno – figure maschili che hanno il ruolo di consiglio e garanzia in vista della scelta futura – ha la possibilità di contrarre nuove nozze, eventualmente, con un membro della famiglia del defunto marito, single o già sposato.
Ora che il numero delle vedove è cresciuto e quello degli uomini diminuito la solidarietà è saltata.
Le meno giovani, specie se con bambini piccoli, non sono desiderate, per le altre spesso interferisce l’ostilità della prima moglie, specialmente considerando quanto la società è impoverita economicamente, ma anche culturalmente, perchè gli appartenenti alla classe media sono in gran parte da tempo emigrati.
Può accadere, così, che molte delle vedove richieste in matrimonio scoprano successivamente di essere state ingannate, trovandosi ad essere la seconda moglie costretta ad adattarsi a un marito di cui non ha più fiducia, e all’esistenza di un’altra donna altrettanto risentita.
Le meno sfortunate, della provincia di Anbar, possono (o potevano? mancano aggiornamenti) essere protette da una organizzazione che si chiama Angeli della Compassione. Da anni questa istituzione agevola il matrimonio con qualche parente del marito e si può supporre che gli operatori accertino che la nuova situazione sia conforme alle regole islamiche che impongono al marito di trattare “con giustizia” le sue consorti.
“Come” viene spezzata la famiglia?
In Iraq si diventa vedove perché il marito combatte o perché viene sequestrato e ritorna cadavere. Perché si arruola in una milizia antigovernativa o perché un attacco suicida lo fa saltare in aria insieme ad altri innocenti.
O si diventa vedove perché la nazione che aiuta l’Iraq addestra i soldati malamente, con scarso interesse a evitare “danni collaterali” .
“La mia vita normale è finita il giorno in cui le truppe hanno ucciso mio marito, ogni giorno è una battaglia, non ho di che dare da mangiare ai miei bambini e non posso guardarli morire di fame” dice una donna a cui i soldati americani durante un raid le hanno ucciso il marito… “avendolo scambiato per qualcun altro”.
Come diventa la vita di quelle donne il cui marito non può essere dichiarato ufficialmente deceduto perchè manca il corpo? Non spose, non vedove. Potremo mai sapere qualcosa delle difficoltà e dell’ostracismo che presumibilmente le colpisce?
Alcune vedove riescono ad ingegnarsi con piccoli lavori, esercitati in casa al riparo da sospetti, sfruttamenti e taglieggiamenti, potendo così aver cura dei bambini ai quali la condizione delle zone in conflitto non di rado impedisce la regolare frequenza scolastica.
Per alcune resta la via dell’emigrazione, come accade alle vedove siriane, ma ovunque vadano la sorte dipende dalla qualità delle persone incontrate, dalla solidarietà, dal rispetto delle regole solidali islamiche. [vedere video di Iman, siro-palestinese in Libano ]
Le donne che interessano media e social media … non sono le vedove.
Piacciono in questa nostra parte del mondo “altre” donne. Lo abbiamo constatato nella campagna virale coi volti “sorridenti” delle ragazze di Kobane. Una narrazione che lasciava intendere come, abbandonata la scuola o la cucina, esse si fossero improvvisate partigiane, mentre in realtà il corpo militare femminile in Rojava ha molti anni di vita.
Ora alcuni celebrano le donne “col Corano e il fucile” dell’Iraq. Sono donne di confessione sciita che fiancheggiano le milizie “per difendere i luoghi santi del loro paese“. Dicono. In realtà impegnandosi con un altro milione di Sciiti in una guerra settaria e genocidaria contro i Sunniti. I quali non porgono l’altra guancia.
In tempi di assuefazione alla guerra, l’empatia scompare e le notizie devono riguardare vittorie, eroi ed eroine. Il resto – i feriti, i mutilati, gli orfani, i profughi – disturba la narrazione. Meno che mai ci si sofferma a chiedersi che cosa accadrà dell’Iraq, come della Siria, quando spentosi il rumore della guerra ci si troverà di fronte la generazione che nella guerra è nata e cresciuta.