L’Italia è ancora in recessione dopo 13 trimestri di crescita negativa mentre il debito dopo una temporanea diminuzione è destinato ad aumentare; ciò che non diminuisce, anzi aumentano, sono le tasse necessarie a finanziarie una spesa pubblica a livelli insostenibili. L’articolo prende in esame i recenti dati sul PIL e sul debito pubblico, descrivendo anche per quali motivi le decisioni di politica economico-fiscale non hanno prodotto effetti positivi.
Tredici lunghi trimestri di recessione, tre anni e tre mesi, l’Italia è avvolta in una spirale senza fine che non tocca mai il fondo da cui ripartire; nemmeno l’inclusione delle attività illegali nel PIL, come droga e prostituzione sono state sufficienti a farci uscire dalla recessione.
Anche il terzo trimestre del 2014 ha segnato una crescita negativa del PIL (-0,1%) che si concatena con una serie interminabile di dati negativi, talvolta intervallati da uno zero, come è possibile osservare nella tabella sottostante.
Il dato in sé è tanto più grave quanto è asfittico, mostrando un’economia che non riesce a reagire ad alcuna cura. Se si esamina il grafico dell’andamento del PIL si può osservare come il declino sia iniziato nel secondo semestre del 2008, ben sei anni fa, e, salvo un breve e modesto recupero tra il 2010 e il 2011, non abbia ancor oggi invertito la sua tendenza.
Il calo accumulato dal massimo del primo trimestre 2008 e del 9,3% e, a differenza dei principali paesi sviluppati che hanno già recuperato i livelli pre-crisi, non riusciremo a colmare il gap prima di cinque anni, nell’ipotesi più ottimistica.
Ma questa dinamica ha delle ragioni ben precise, ha nomi e cognomi che ci hanno annunciato quando e con quali misure ne saremmo usciti. Previsioni disattese, tempi rimandati, valzer di poltrone, riforme annunciate e mai attuate.
È la conferma del fallimento della politica ma anche dell’incompetenza economica; questo è il danno causato dal miope tamponare il debito continuando a incrementare le tasse, senza mai andare a incidere in modo drastico sui tagli della spesa.
È chiaro infatti che un aumento delle tasse in una fase di crisi è pro-ciclico, cioè aggrava la crisi stessa in quanto sottrae risorse alle famiglie, diminuendo i consumi e generando effetti negativi sulla produzione e sull’occupazione.
Ma l’erosione riguarda anche il capitale; la voracità fiscale in tempi di crisi falcidia le risorse che l’impresa potrà investire nella produzione una volta che la crisi sarà assorbita, con impatti negativi sul recupero dei livelli di occupazione. Il risultato è la mutilazione del tessuto industriale e il danneggiamento della capacità di innovazione, oltreché della competitività, un fenomeno che diventa ancora più acuto nel nostro Paese contraddistinto da piccole e medie imprese e quindi più esposte alle carenze di capitale.
L’altra faccia della medaglia è rappresentato dal grafico del debito pubblico, che a fronte di un incremento insostenibile della tassazione avrebbe dovuto perlomeno trarre un po’ di beneficio.
Gli ottimisti potranno dire che difatti il debito pubblico è diminuito di 34.4 miliardi nel terzo trimestre 2014, portandosi a 2.134 miliardi. Ma le previsioni Mazziero Research stimano un brusco rialzo nella rilevazione del prossimo mese (dati di ottobre) che lo riporterebbe a 2.161 miliardi, a soli 7 miliardi dal record storico di luglio.
Il panorama di fondo resta preoccupante: i dati dei documenti di programmazione economica appaiono troppo ottimisti e il rischio è che intervenga la clausola di salvaguardia con l’IVA che passerebbe al 24% nel 2016, al 25% nel 2017 e al 25,5% nel 2018, insieme ad altri aumenti delle accise.
A quanto pare chi guida il Paese non è ancora arrivato a comprendere che l’unica via d’uscita sia la diminuzione delle tasse accompagnata dalla riduzione della spesa; proprio per questo avevamo un Commissario alla spending review e non si capisce perché sia stato esonerato dall’incarico.
Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare la pagina: L’economia italiana nel 3° trimestre 2014 oppure scaricare liberamente il XVI Osservatorio sui dati economici italiani della Mazziero Research al questo LINK