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L’Italia che non va

Creato il 23 maggio 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti

Falsi complotti e aggressioni taroccate. Ma è l’Italia che non va. Sempre più povera, sempre più stordita Laetitia non ne azzecca una, un po’ per colpa sua e un po’ perché, essendo un po’ così, come la faccia di chi vede Genova, crede a tutto quello che le raccontano non curandosi di controllare le fonti. Ultima in ordine di tempo è la storia della feroce aggressione della quale è stata vittima la signora Franca Rizzi, mamma dell’assessore Alan Rizzi che, all’uscita da un supermercato, sarebbe incappata nelle squadracce comuniste di Giuliano Pisapia. Laetitia, con la voce rotta dall’emozione e tendente al pianto, ha accusato senza mezzi termini il suo rivale di comportamenti violenti, anche dopo che Pisapia ha dato la dimostrazione che lui i furti d’auto li sventa e non li compie. La credibilità della storia raccontata dalla mamma di Rizzi, evidentemente avvezza ai falsi attentati (e mediaticamente sfruttata da Lady Moratti), è stata smontata dalla testimonianza della signora Shirin Kieayed, dal 1982 in Italia, milanese più milanese di Gnazio, che si è sentita in dovere di telefonare a Radio Popolare per dare la sua versione di testimone oculare dei fatti. “Nessuna aggressione – ha detto Shirin Kieayed – la signora Rizzi è andata da un sostenitore di Pisapia dicendogli di smettere di pronunciare ad alta voce il nome del rivale di Laetitia e lo ha iniziato a strattonare. Il ragazzo l’ha cortesemente allontanata con un movimento del ginocchio sulla coscia e la signora si è seduta da sola a terra iniziando a gridare di essere stata aggredita”. Alla domanda del giornalista di Radio Popolare se, chiamata a testimoniare in tribunale la signora avrebbe confermato i fatti, Shirin ha detto : “Certo, credo sia mio dovere riferire quello che ho visto”. Chiuso con ignominia l’ennesimo tentativo di far apparire Pisapia un pericoloso delinquente, e i suoi sostenitori tutti facinorosi giovinastri dei centri sociali, la campagna elettorale di Milano non si può dire non riservi ogni giorno fatti che contribuiscono, seppur involontariamente (?), a compromettere seriamente il tentativo di rincorsa della Moratti. Pdl e Lega si stanno scannando sui ministeri. La sorpresa annunciata da un Calderoli raggiante, sceso momentaneamente dalla palma, era quella dell’annuncio ufficiale che due ministeri sarebbero stati trasferiti dalla Capitale d’Italia a quella del Regno Longobarleghista. I dubbi sono sopraggiunti quando Alemanno ha detto “Tutte balle”, Renata Polverini ha aggiunto “Questi sono ubriachi” e il Roberto demi-vierge Formigoni “A Milano non servono ministeri”. Prontamente informato dai giornalisti della frase del governatore lombardo, Umberto Bossi ha reagito come nessuno si sarebbe mai aspettato dopo l’annuncio formale di un abbassamento dei toni della campagna elettorale: ha unito a cerchio l'indice e il pollice e, dopo esserseli portati alla bocca, ha tirato fuori una pernacchia col risucchio al cui confronto Eduardo è apparso immediatamente un dilettante. Capita l’antifona, Silvio, che aveva effettivamente promesso ai leghisti lo spostamento di due dicasteri a Milano, ha dovuto compiere l’ennesimo, repentino diefront e ha sussurrato: “Oddio due ministeri proprio no, ma almeno due dipartimenti”. Se questa è la strategia messa a punto dagli uomini del centrodestra per riprendersi Milano, dobbiamo dire che Pisapia può dormire sonni tranquilli anche perché, la storia della costruzione della più grande moschea d’Europa, non è una sua invenzione ma una delibera della giunta Moratti che è come dire: se la cantano, se la suonano e la stonano pure. Tutto ciò, cari connazionali, accade mentre l’Italia è sul baratro di una crisi irreversibile che si basa su tre grandi fallimenti: l’economia, la frammentazione sociale, la credibilità internazionale. “Standard&Poor” ci dice che il nostro paese non cresce, che il debito estero è salito a 188 miliardi nel 2011 e che entro il 2014 dovremmo mettere in atto una manovra da 40 miliardi di euro per non fare la fine della Grecia e del Portogallo. S&P ci ha inserito nella griglia dei paesi in pre-declassamento. Questo significa che se agli italiani dovessero continuare ad essere imposti sacrifici e la crescita si dovesse fermare all'1,5 per cento (invece di salire al 2) saremmo costretti a chiudere per bancarotta. Nonostante i tagli di Tremonti (ricordiamoci che a tagliare sono buoni tutti), l’Italia è ferma, non cresce, non migliora i conti esteri né ha prospettive immediate di una inversione di tendenza. Alla bocciatura della Stardard&Poor, fanno eco i risultati del sondaggio Demos-Coop dal quale risulta che il ceto medio diventa minoranza, che gli artigiani e i commercianti stanno lentamente scivolando verso il basso e che il 44 per cento dei professionisti si ritiene “precario”. Sono aumentati del 5 per cento in tre anni i cittadini italiani che non si ritengono più ceto medio e che, pragmaticamente, si autoinseriscono nella “classe operaia” o “popolare”. L’Italia sta diventando drammaticamente più povera mentre il 6 per cento (dato fermo da 10 anni) continua a ritenersi “borghesia” o “classe dirigente”. Se ai dati di Standard&Poor e di Demos-Coop aggiungiamo quelli del Censis che ci dicono che l’80 per cento della ricchezza nazionale è in mano al 15 per cento degli italiani, il conto è presto fatto e la conclusione alla quale si arriva è il ritratto del fallimento totale del berlusconismo. Non occorrono né Ruby né le grane giudiziarie del presidente del consiglio per far capire agli italiani che c’è la necessità di un cambiamento radicale della nostra politica, basterebbe che dessero un’occhiata alle loro tasche. Chissà che trovandole miseramente vuote non si diano una mossa.


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