di Antonio Scarazzini
Finanza e tessile, siderurgia ed agricoltura, oltre la Fiat c’è di più..
In epoca recente, secondo dati ICE, sono quasi triplicate le aziendeitaliane che hanno scelto di delocalizzare la propria produzione in territorio serbo. Mosse che i più attribuiscono alla ricerca di costi del lavoro sempre più bassi che aiutino a sostenere le sfide delle globalizzazione rese ancora più ardue dall’acuirsi della crisi economica. La storia degli oltre 2 miliardi di euro di volume d’affari prodotto dall’impresa italiana in Serbia racconta, tuttavia, di una interazione certamente più complessa con un Paese, ancora coinvolto in una difficile transizione dall’economia pianificata dell’ex Jugoslavia, che dell’afflusso di capitale e know-how esteri ha fatto una priorità nell’agenda economica. Gli stessi vertici della Serbia Investment and ExportPromotion Agency (SIEPA) non fanno mistero di poter offrire salari fra i più bassi dell’area Balcani ed Europea Orientale, circa 250 euro mensili comparati con i 1051 della Croazia, compensati tuttavia dall’imposizione sui redditi più bassa nell’area e pari al 12%. Ad attrarre le imprese straniere sono, poi, i forti sgravi fiscali con un tassazione sul reddito d’impresa fissata 10%, la più bassa d’Europa, ed un’imposta sul valore aggiunto del 18%. Significativi inoltre i contribuiti statali, che possono andare dalla partecipazione del20-25% sul piano d’investimento ad incentivi che vanno dai 4000 ai 10000 euro per ogni nuovo posto di lavoro, con una minima differenziazione dei requisiti minimi a seconda della tipologia (produttivo o dedicato all’export) e dimensione dell’investimento (dai 200 ai 50 milioni per i progetti su larga scala, mezzo milione per gli investimenti standard).Malgrado i timori suscitati dalle scelte di delocalizzazione in termini di ricadute occupazioni in Italia, i rapporti bilaterali hanno dimostrato di poter offrire un valido banco di prova per la competitività di merci e servizi italiani in uno dei mercati emergenti dalle maggiori prospettive: l’ultimo Rapporto congiunto MAE/ICE (nel periodo gennaio-agosto), vede l’Italia sempre al terzo posto nella scala dei partner commerciali, con un interscambio di 1,83 miliardi che la pone alle spalle di Russia e Germania e che su base annuale sfiora i 2,5 miliardi. E’ interessante tuttavia notare come, rispettoai due competitors, l’Italia abbia saputo difendere una quota di mercato costante attorno all’8%, patendo nel 2010 una riduzione nell’export verso la Serbia del 2,9% inferiore rispetto al 5,3% della Germania. La Russia può, inoltre, garantirsi una fetta pari al 13% del mercato serbo grazie soprattutto alla fornitura di idrocarburi.Il flusso di capitale italiano, stimato in più di 988 milioni di euro trail 2006 ed il 2010, tocca livelli ancora superiori se si conteggiano anche altri investimenti ancora non pienamente registrati o formalmente effettuati attraverso società controllate di nazionalità differente dalla holding: il primo è il caso del gruppo FIAT, che tra il 2008 ed il 2009 ha posto le basi per la creazione di una joint venture tra Fiat S.p.A (67%) ed il governo serbo (33%) per la creazione di Fiat Automobili Serbia, stimato in un 1 miliardo dieuro e cofinanziato dalla BEI, in cui il gruppo torinese ha già investito ben700 milioni per rilevare gli impianti ex Zastava di Kragujevac, con un target di produzione annua a regime dicirca 200.000 vetture ed una ricaduta occupazionale stimata in circa 2600 nuoviposti di lavoro. Il gruppo guidato da Sergio Marchionne arriva così a sfidare Gazprom in termini assoluti di impegno sul territorio serbo, con investimenti attivi nel 2011 per 944 milioni di poco inferiori ai 947 del colosso energetico. Intesa SanPaolo e Unicredit, i principali gruppi bancari italiani, controllano il 25% del mercato bancario serbo mentre Generali e Fondiaria-SAI hanno realizzato tra il 2006 ed il 2007 due joint venture con due dei primi tre gruppi assicurativi, rispettivamente Delta Osiguranjie e D.D.O.R, assicurando l’accesso ad una quota di mercato potenzialmente superiore al 30%.E’, però, il settore tessile a guidare l’impegno tricolore, con ben il 36.60% delle imprese attive in Serbia impegnate nel settore: particolare dedizione è data al settore della calzetteria con Pompea, Golden Lady e Calzedonia. Proprio Golden Lady, attraverso il proprio marchio Omsa, è caduta sotto la critiche dell’opinione pubblica dopo il licenziamento di oltre 300 lavoratrici degli impianti faentini, in buona parte seguito al trasferimento della produzione negliimpianti serbi, da ultimo quello di Loznica, aperti con un investimento che dal 2001 aveva raggiunto i 100 milioni di euro. Pompea ha invece consolidato il suo investimento di oltre 20 milioni, potenziando a luglio 2011 gli impianti in Vojvodinadella controllata “Modital Pompea”, che conta per il 50% della produzione dell’intero gruppo. Sempre nel settore tessile il 2011 ha segnato l’entrata inscena del gruppo Benetton che ha rilevato per oltre 43 milioni di euro alcuni impianti nella città di Nis, in cui sarà operativa la neocostituita BenettonSerbia.Scambi di visite e accordi strategici, con un occhio all’energia
Dal 2009 la cooperazione italo-serba ha certamente vissuto un’accelerazione grazie all’intensificazione dei vertici intergovernativi edegli incontri istituzionali, promossi da una rete crescente di interessi pubblici e privati. Nel novembre di quell’anno, infatti, il vertice Berlusconi-Tadic pose le basi per l’avvio di una partnership strategica in materia di energie rinnovabili, grazie ad un accordo fra gli allora ministri con deleghe per l’energia Scajola e Skundric: attraverso i propri gruppi industriali e con il supporto di incentivi europei, l’Italia avrebbe contribuito a rafforzare la produzione idroelettrica e la connessione con la propria rete nazionale. La cooperazione ha subito preso piede nel luglio 2010 con la costituzione di una joint venture tra l’italiana Seci Energia (51%) e la principale compagnia elettrica serba Elektroprivreda Srbjie (Eps – 49%) per la costruzione di dieci centrali idroelettriche sulfiume Ibar, per un investimento da parte del gruppo Maccaferri, di cui Seci faparte, di 285 milioni ed una produzione annua di 450 gigawatt/ora. E’ stimato in ulteriori 650 milioni il costo della prevista costruzione di altre tre centrali sul fiume Drina, per complessivi 1500 gigawatt/ora annui. A metà 2011 è seguito poi un accordo tra la stessa Eps ed Edison per il potenziamento dellacentrale termoelettrica di Kolubara, con un investimento dispiegato tra il 2011 ed il 2017 di circa 1,5 miliardi di euro.La particolare attenzione nell’ambito energetico rientra quindi in una precisa strategia nazionale, definita lo scorso ottobre con un accordo fra il Ministro per lo Sviluppo Economico Romani e il Ministro per l’Energia Mrkonjic, ma già definita dal Piano Nazionale per l’Energia presentato a metà 2010, in cui si prevedeva l’importazione di sei terawatt/ora annui dall’area balcanica nell’ambito di uno dei progetti comuni resi possibili dalla direttiva 2009/28/CE per le fonti rinnovabili, che permetteva ai Paesi UE l’importazione di energia “pulita” da Paesi terzi per poter ottemperare agli obiettivi della Strategia Energia2020. Un accordo che ha coinvolto parallelamente la previsione di investimenti per circa 775 milioni di euro per la costruzione dell’interconnessione Italia-Montenegro, decisiva per convogliare l’energia prodotta in Serbia, in cui sarà impegnata l’italiana Terna.Il vertice intergovernativo di Belgrado dello scorso 8 marzo ha così sancito, anche a livello simbolico grazie alla nutrita delegazione di ministri italiani, la centralità della Serbia in una cooperazione politico–economica strutturata su più livelli tematici ed istituzionali: i sei accordi firmati nel corso del vertice dai Ministri Passera, Terzi, Cancellieri, Di Paola, Catania e Moavero Milanesi, spaziano dal campo della cooperazione giudiziaria a quello culturale, nel segno di una vicinanza del governo Monti al percorso europeo intrapreso da Boris Tadic. Una vicinanza che si esprime nella cooperazione settoriale (ambiente e sviluppo agricolo, lotta alla criminalità organizzata edal terrorismo, controllo dell’immigrazione e degli illeciti finanziari), realizzata non solo a livello ministeriale, ma anche grazie al prezioso contributo delle singole regioni italiane, impegnate con Memorandum d’intesa a favorire la penetrazione economico-commerciale e a promuovere lo sviluppo dell’economia serba, che trova proprio nell’Italia il suo primo mercato d’esportazione. Già nel 2011, inoltre, il governo italiano aveva stanziato fondi per 30 milioni di euro a favore dello sviluppo delle piccole medie imprese serbe, settore in cui secondo il Ministro dell’Economia Nebojsa Ciric giunge circa il 60% degli investimenti operati dalle quasi 400 aziende attive, direttamente o tramite joint venture, con investimenti per lo più inferiori al milione di euro ma comunque ammessi all’ottenimento degli incentivi occupazionali.Il mese di marzo si è poi dimostrato particolarmente proficuo sotto il profilo istituzionale: il Presidente della Regione Friuli Renzo Tondo ha infatti concluso a Novi-Sad ben 19 accordi congiunti per l’attività di piccole-medie imprese italiane nella regione di Vojovdina. Un’intesa che rafforza un rapporto bilaterale già consolidata nel novembre del 2009 con la firma di un Memorandum d’intesa in alcuni settori chiave come energia, infrastrutture, sviluppo delle PMI, innovazione ed istruzione. Un’intesa simile lega il Paese anche alla Lombardia, detentrice con quasi 700 milioni di euro di circa un terzo dell’interscambio fra Italia e Serbia; e dal terzo incontro fra Tadic ed il Presidente del Consiglio Regionale lombardo Roberto Formigoni è giunta anche la conferma della partecipazione di una delegazione serba all’Expo2015, nell’ambito di una visita a Milano e Trieste che l’ex Presidente serbo ha compiuto tra il 29 e 30 marzo scorsi presenziando ad alcuni business forum. Negli stessi giorni si è poi concretizzata la nascita di Confindustria Serbia, un’ulteriore piattaforma imprenditoriale che si affianca alla Camera di Commercio Italo-Serba per favorire la penetrazione economica e commerciale in un’economia che fa parte dell’Accordo centro-europeo di libero scambio (CEFTA) e può garantirsi la connessione con altri mercati fondamentali come quelli turchi o russi grazie ai free-trade agreement recentemente stipulati.Per disegnare un legame a tutto tondo fra i due Paesi rimangono, oltre ad altri memorandum d’intesa stipulati nel corso del 2011 con Umbria e Abruzzo, anche iniziative quali ItalBalk, progetto integrato di “Integrazione logistica e trasportistica sulle relazioni Italia-Balcani” avviato nel 2010, in cui un partenariato composto da Campania, Emilia-Romagna, Friuli, Puglia e Sicilia collaborerà con Serbia, Albania e Montenegro per potenziare le reti di trasporti fluviali e su strada e, in particolare, quel corridoio X che collegherebbe Belgrado a Bucarest e Nis a Sofia ed Istanbul. Rotte commerciali che continuano ad attrarre piccoli e grandi gruppi industriali – da ultimo le acciaierie Danieli che investiranno 500 milioni in impianti a Sabac, proprio vicino al percorso del corridoio – in una competizione per i mercati emergenti in cui l’export e l’imprenditoria italiane continuano a distinguersi con successo.* Antonio Scarazzini è Dottore in Studi Internazionali (Università di Torino)