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L’ Italia della Grande Crisi

Creato il 28 gennaio 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Come vedranno i nostri posteri il momento storico in cui stiamo vivendo?

Come rappresentare gli ultimi anni che abbiamo, consapevolmente o inconsapevolmente, vissuto?

Questa è una domanda che è sempre opportuno porsi, perché ci consente di capire la direzione che stiamo percorrendo ed eventualmente cambiarla.

Tanto per iniziare, non possiamo sapere quale sarà l’entità della Grande Crisi del 2008 e quando avrà fine, se ne possono, però, cogliere i risvolti.

La Grande Crisi – così potremmo chiamarla, immaginando una possibile etichetta apposta da uno storico del futuro- ha determinato una sorta di immobilismo politico e sociale, l’esatto opposto del “Grande Boom” del dopoguerra.

Il nostro paese ha sempre avuto una certa tendenza all’immobilismo, una certa diffidenza verso il cambiamento determinato sia da fattori psicologici, sia da un ambiente non certo favorevole ai cambiamenti repentini. Questa volta, però, si parla di qualcosa di diverso, di una tendenza ancora più marcata.

La maggior parte delle discussioni all’interno delle istituzioni affrontano temi economici (intendendo con questa categoria un insieme di temi molto vasto) e l’informazione si fossilizza su temi di occupazione e cronaca nera.

Pare che il Paese sia caduto nella tipica sintomatologia della paura, il circolo vizioso a causa del quale parlando o pensando sempre alle stesse cose ci si illude di superare i problemi.

E’ proprio la crisi economica che, al grido di ” uniti ci faremo più forza”, ha determinato il rafforzarsi di un marcato bipolarismo e, poi, di un centrismo sempre più omogeneo.

Il risultato è stato che si è discusso negli ultimi anni di temi quasi marginali rispetto ai reali ostacoli allo sviluppo del paese: decadenze, condanne, processi ad personam, correnti (renziane, montiane, berlusconiane, bersaniane e di ogni altro tipo), escort e prostitute di vario genere e altri variegati temi che in concreto poco importano. Nulla più di semplici distrazioni, fossilizzazioni, un rimuginare continuo delle solite storie.

Abbiamo assistito, ignari, alla perdita del pluralismo, è scomparso un qualsiasi dibattito su temi sociali e anche le rappresentanze di una certa politica sembrano sparite. Ogni volta che si accenna al problema delle coppie di fatto, diritti dei gay, legalizzazione delle droghe, affollamento carcerario, viene risposto che “in questo momento il paese ha bisogno di un altro tipo di riforme”. Proprio questi temi sociali dovrebbero essere la serotonina per un cervello affaticato, il salvagente che nelle difficoltà permetta comunque di sperimentare un minimo di soddisfazione.

Le battaglie condotte nell’alveo della regolare vita costituzionale, portate avanti da partiti come quello Radicale mediante scioperi della fame e ostruzionismo, sono state sostituite dal silenzio e dal rifiuto al dialogo di nuovi movimenti nati “sulla rete”.

La parola d’ordine di questi nostri tempi è “rabbia”. Rabbia che deve essere incanalata, si dice, da quel movimento nato spontaneamente affinché si sfoghi pacificamente. Qualche tempo fa si portavano le rappresentanze, le idee, ora si porta la “rabbia” in Parlamento.

La Grande Crisi ha anche slatentizzato problemi profondi, costringendo molti a disilludersi. Che ne è stato del Sindacato? Nel momento più buio per l’occupazione, in cui i lavoratori hanno più bisogno di una struttura, dove sono finiti? L’adattamento ad un nuovo contesto socio economico è duro, ma questo ci si aspettava, almeno dal Sindacato.

Mai come prima, abbiamo preso coscienza della piaga della corruzione e di come il sistema amministrativo, così com’è, non potrà reggere.

Lo storico del 2050 avrà sicuramente molto da scrivere su di noi e su come il Paese cambia ad una velocità mai vista prima, pur cercando di resistere a tale cambiamento con tutte le sue forze.

Le crisi economiche, così come quelle umane, non sempre vengono per nuocere, tutto dipende da come le si affronta.


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