Alla Maison Européenne de la Photographie di Parigi il “surbanalismo” di Plossu viene raccontato attraverso i suoi reportage fotografici in Italia. Il Bel paese immortalato attraverso i contesti e i temi più sintomatici e particolari
Dal Piemonte alla Puglia, da Milano a Palermo, cosi’ come da Bologna a Cagliari passando per la Toscana e Roma, il ‘giro d’Italia’ della fotografia si è concluso a Parigi la scorsa settimana. Ex nihilo nihil fit, autore della mostra di foto allestita presso la Maison Européenne de la Photographie non poteva non essere che un maestro del reportage; Bernard Plossu, uno che il mondo l’ha immortalato in lungo e in largo dando un importante contributo alla professione attraverso la creazione della fotografia ‘surbanalista’, che riprende i principi di un surrealismo più tangibile e meno imbevuto di influenze romantiche. Fin dalle premesse, il reporter francese non poteva dunque farsi mancare l’occasione di raccontare il Paese delle “origini” attraverso una raccolta di scatti evocativi e magniloquenti.
“L’Italia si è impossessata della mia anima, la mia anima si è impossessata dell’Italia”. Il viaggio di Plossu attraverso i siti più suggestivi dello stivale comincia all’inizio del 1970; allorchè, spinto e motivato dai racconti della madre sulle proprie origini italiane, il fotografo nato nel 1945 in Vietnam decide di partire alla volta di Napoli e Pompei, sotto una pioggia torrenziale: un’esperienza alla quale seguirà una lunga serie di itinerari svolti da Plossu nel Belpaese, che continueranno anche all’indomani del suo trasferimento sugli altopiani del New Mexico. Del resto non è un caso che, in occasione dei rari rientri in Europa, il fotografo francese senta puntualmente l’esigenza imperante di recarsi in Italia. Sarà forse il bisogno di ritrovare quei “paesaggi verticali’ che tanto si differenziano dalle prospettive orizzontali dell’Ovest degli Stati Uniti, come lo stesso artista descrive nelle memorie indelebili del suo primo viaggio a Roma, compiuto nel 1979.
Il fatto certo è che Plossu ha sempre avuto un legame speciale con i luoghi, al di là della loro lontananza o meno di questi tanto dalla sua storia personale quanto dalla sua cultura. Che si tratti del Messico o del Sahara, della Francia del nord o del Lago di Garda, il fotoreporter è alla costante ricerca del momento in cui la sua visione – da Plossu definita come il “rettangolo” all’interno del quale l’immagine viene creata – contenga allo stesso tempo sia l’elemento caratteristico che la negazione di un determinato soggetto. Nel corso dei suoi innumerevoli reportage realizzati in Asia, Africa e America, il segreto della sua tecnica visiva si palesa nel tentativo di enfatizzare ogni tipo di contesto, dal banale all’eccezionale, senza disconoscerne la realtà.
Bernard Plossu ha ripreso l’Italia in ogni stagione, con una particolare predilizione per il ‘brutto tempo’, che secondo l’autore di Voyage vers l’Italie (2004) equivale al bel tempo della fotografia; di notte come di giorno, nella luce eclatante percepita a mezzogiorno, cosi’ come durante la ‘non luce’ del crepuscolo, quando tutte le cose man mano si offuscano, gli scatti di Plossu riprendono tutto: i paesaggi, le persone, gli ambienti, l’architettura, il presente, il passato, il futuro e la poesia. Con il semplice equipaggiamento di una vecchia Nikkomarts, che possiede la metà dei suoi anni, munito di un obiettivo di 50 mm, lo stile che affiora nelle fotografie di Plossu si conferma nella sua intenzione di non deformare il reale, sulla base di un metodo ispirato alla corrente dalla Novelle Vague, la stessa che ha introdotto la videocamera da spalla e che ha affermato il trionfo della coscienza visiva.
Privilegiando gli scatti in bianco e nero, Plossu si considera un adepto della tecnica di ‘Fresson’, cosiddetta charbon satin – ovvero il tiraggio del colore opaco su carbone. Per rendersene conto è opportuno osservare le foto fatte in chiaroscuro tra Roma, Milano, Palermo, Ventotene e Stromboli, cosi’ come gli scatti semplicemente realizzati dai finestrini del treno, dove sembra che il reporter si lasci guidare dall’istinto degli occhi. D’altro canto è evidente il modo in cui nelle fotografie a colori la luminosità risulti diffusa e priva di centro, fattore che contribuisce a risaltarne le qualità oniriche e surreali; in questo senso, è proprio nella poetica del surrealismo e della metafisica che l’artista trova una delle sue principali fonti d’ispirazione. Lanciandosi in un possibile paragone con la pittura,le opere di Plossu sembrano animate da una vitalità segreta, un’energia recondita che si ritrova nelle tele di Max Ernst e Giorgio De Chirico, dove il difetto innato della rappresentazione viene dissimulato.
I luoghi come le persone. Bernard Plossu è affascinato dai volti e dalle opere degli artisti italiani. Tra le sue foto si possono trovare sia scatti ricorrenti di pittori del calibro di Carlo Carrà, Campigli, Morandi che ispirazioni fotografico-letterarie pertinenti a Emilio Gadda, Rosetta Loy, Giuseppe Bonaviri, Andrea Camilleri, Cesare Pavese e Italo Svevo. Per non tralasciare il cinema, da cui l’artista riprende diverse suggestioni artistiche, soprattutto per quanto riguarda i film realizzati tra gli anni sessanta e settanta, basti pensare alla Notte e all’Eclisse di Michelangelo Antonioni. Il principio guida riscontrabile nelle opere di Plossu si riflette in un duplice riconoscimento dei luoghi; se da un lato le sue fotografie non trasmettono alcun tipo di giudizio o celebrazione aprioristica, dall’altro spicca una sensazione di specificità percepibile fisicamente all’occhio nudo dell’osservatore. Per riprendere le parole di Walter Guadagnani, esperto di storia della fotografia, in ogni scatto Plossu crea una sensazione di complicità, capace di suggerire un’esperienza condivisa e non soltanto la visione dell’immagine.
@JackFide
Articolo scritto per Tribuna Italia