-Di Carmen Gueye
L’Italia era considerata un paese prolifico, fino a tutto il primo dopoguerra, al pari di tanti paesi del sud Europa. Non ci soffermiamo sulle cause e, in ogni caso, il dato non sempre era congruo: famiglie numerose si contavano anche a latitudini più nordiche. Forse ciò che colpiva era il numero dei figli in rapporto alle scarse possibilità di genitori allora spesso quasi in miseria. L’eccesso di popolazione in rapporto alle risorse disponibili provocò il fenomeno dell’emigrazione, fermatosi all’incirca negli anni cinquanta dell’ultimo dopoguerra.
L’anno che registra più nati vivi in Italia risulta essere il 1964; il boom economico, le relative certezze derivate dall’inserimento in un blocco politico che garantiva aiuti, l’alfabetizzazione, regalarono per un poco il desiderio di “fare famiglia”: non più con numeri esorbitanti di prole (sebbene in certe aree, specialmente del mezzogiorno, una coda di iperprocreazione sia continuata ancora per un pezzo), ma confidando nel futuro e quindi non disdegnando quanto meno la classica “coppia” di figli e, potendo, anche qualcuno in più.
Tuttavia il fenomeno del figlio unico iniziò a imperversare; le rivoluzioni sessantottine produssero altri rivolgimenti sociali: le donne sempre più spesso lavoravano fuori casa, si insinuavano forme di destabilizzazione come l’uso di droghe, la società cambiava e si avviò l’inversione di tendenza, che ha portato, da una parte, ad essere il paese meno vispo anagraficamente in Europa; dall’altro a ritrovarsi (e questo è un problema comune a tutto l’occidente, con la sacca estrema e lontana del Giappone) alle prese con figli poco gestibili.
Poiché avere bambini non è considerato un investimento emotivo e materiale positivo, ma solo un desiderio di realizzazione, ove questa sia in disussione, si rinuncia. O si fa, ma a determinate condizioni. Il pargolo si ritrova immerso da subito nel circo consumista, nelle nuove necessità inderogabili (sport, tempo libero, viaggi d’istruzione o meno), anche quando le famiglie (magari massiciamente aiutate dai nonni) non ne hanno la proporzionale possibilità economica.
C’è ancora chi arrischia e sfida l’assetto imperante, s’intende. Nel libro ” Tutti vostri?” edito dall’ “Associazione Nazionale Famiglie Numerose” è spiegato il perchè di scelte oggi davvero “trasgressive”, come quella di avere nuclei familiari importanti; di come lo Stato Italiano non aiuti affatto chi desideri allargare il nucleo familiare; e si indicano altri paesi come laboratorio, se non da seguire, almeno da osservare con attenzione.
Si legge, per esempio: “Fertilità è potere. Fertilità è fiducia nella vita……arabi e iraniani, con tecnologia inferiore, con senso morale altissimo, tengono fronte all’America e a tutto l’occidente” (contributo di Angelo Bertolo).
Noi non sappiamo a che livelli sia giunta colà la tecnologia (conosciamo poco dell’Arabia Saudita, ma l’Iran non ci pare poi così indietro), tuttavia vorremmo aggiungere le notizie che ci arrivano da paesi che hanno portato a noi l’immigrazione: in certe culture dell’Africa o dell’Asia , per esempio, il figlio è ancora devoto ai genitori, agli avi, a tutti gli anziani (che non lo sono magari nemmeno così tanto) i quali lo hanno accudito nell’infanzia: e la riconoscenza imperitura non lo abbandona, anche quando sembra eccessiva e a scapito della propria stessa autoaffermazione.
Da noi, è all’opposto: il figlio esige, pretende, cose inimmaginabili anche solo fino a una trentina di anni fa. Ben poco gli si può negare. Sentenze varie hanno stabilito che i genitori (spesso separati e con sensi di colpa che si esprimono in forma materialmente risarcitoria) rispondono di lui fino a ben oltre la maggiore età e il risultato è, senza voler peccare di disfattismo, ma in buona misura, una pletora di giovani, adolescenti, a volte già adulti, egocentrici, indisponenti e perennemente immaturi.
Vero è che c’è crisi e le prospettive future non incoraggiano serenità e desiderio di emancipazione, ma crediamo che i piccoli e giovani italiani stiano passando il segno o qualcuno (aiutato dai media?) li abbia incoraggiati a sentirsi tanti “leoni al sole” o vitelloni di felliniana memoria; e, se ragazze, vamp in erba dimentiche delle lotte per liberarsi delle condizioni vessatorie subite fino ai tempi delle bisnonne.
Così non esistono le basi per una società che avrà bisogno di tutte le sue energie per riemergere dal baratro. E i giovani “stranieri”, che venga o meno concesso lo “ius soli”, come peraltro auspichiamo, saranno il nuovo nerbo della nostra intelaiatura economica, ma pure della creatività, dell’immagine.
L’ ipotesi non ci spaventa affatto; ma la decadenza del genere italiano, con le sue doti tradizionali che hanno prodotto ingegni, idee e tanto buon lavoro, ci dispiace. E se fugge all’estero, gli auguriamo buona fortuna, ma ci spiace ancor di più.