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L’Italia nella guerra libica

Creato il 24 marzo 2011 da Casarrubea

di Giuseppe Casarrubea

 

L’Italia nella guerra libica

Guerra in Libia

Gli italiani sono cresciuti sugli spaghetti e sul mandolino. Almeno si sono fatti questa fama, e in tutto il mondo sono conosciuti per queste qualità. Amano la buona tavola e, soprattutto, sono dei bonaccioni, allegri e canterini. Il premier, come prima di lui  Casanova e Mussolini, sembra fatto apposta per essere rappresentativo dello stereotipo come del resto lo è il popolo plaudente. Gli italiani applaudono tutti, in televisione e nella vita privata o pubblica. E persino nei funerali il passaggio del feretro. 

Nella struttura genetica hanno l’idea del maschio latino. Senza colpe. Perché è da pretacci mettersi sotto le lenzuola a partecipare gaudenti, dei piaceri altrui, specie quando a letto ci sono innamorati alle prese con i loro carnali furori taurini, cari a Semiramide, l’imperatrice di Babilonia che “libito fé licito in sua legge”. Più in alto si va più il prototipo diventa un mito, fino alla perdita totale della ragione. Basta l’istinto.

Forse per questo, rispetto alla Libia, Berlusconi è rimasto dietro le quinte, come un fantasma taciturno, addolorato dalla crudele sorte che sta colpendo il suo amico fraterno Muammar  Gheddafi. I bombardamenti del quartiere generale del raìs gli ricordano i luoghi che qualche settimana fa ha visitato, le fanciulle che ha visto nell’harem del colonnello, gli occhi e gli oggetti che ha potuto ammirare e sognare, perché, si sa, l’erba del vicino è sempre più verde. E forse anche gli affari che ha fatto. Ma questa è un’illazione o un grossolano errore di valutazione. Anche se certe esagerazioni lasciano perplessi. Come quella che ha visto il premier ricevere il suo amico del cuore come un nababbo a Roma e a cui ha persino baciato la mano in segno non goliardico e giocherellone, da vecchia matricola universitaria, ma da uomo sinceramente devoto.  Nella circostanza ha dato l’impressione più che di un capo di governo, del soldatino al quale i veterani di caserma fanno il gavettone militare. Una subordinazione cristallina, una sottomissione inspiegabile e penosa per il popolo italiano.

A essere sincero, questa situazione affaristico-sentimentale dell’italico Berlusconi mi è un po’ simpatica, nella sua tragicità. E’ meno crudele di quella dei volponi della politica dei nostri vicini di casa: i francesi, soprattutto, e i britannici. Sarkòzy e Cameron infatti la sanno più lunga del diavolo e pare che già da parecchi mesi vadano preparando la trappola non soltanto all’Italia, ma anche a Gheddafi. Vogliono toglierle allo stivale il primato di principale acquirente di petrolio della Libia. Per questo scopo i Servizi segreti britannici lavorano già dal 1° settembre 1969, data fatidica dello spodestamento di re Idris da parte di un gruppo di giovani militari disposti a trasformare un paese monarchico a orientamento islamico integralista, in Paese laico di stampo collettivista. Quanto si sia realizzato però della rivoluzione del 1969 è compito degli storici appurare.

Quello che è certo è che di queste rivoluzioni promosse da giovanotti alle prese con Facebook che con il loro tam tam hanno messo fuori gioco Ben Alì e Mubarak, sappiamo ben poco. Puzzano di falsità, o, quanto meno, di una informazione unilaterale fatta con lo stampino. Non sappiamo cosa succederà in Tunisia e in Egitto e dove siano andate a finire le masse osannanti alla democrazia liberale e filooccidentale di cui parlava la stampa già nei primi giorni di fermento rivoluzionario di questo 2011. L’operazione ‘ribelli’ non ha avuto la stessa sorte nei diversi Paesi arabi  dove il fenomeno di un improvviso furore liberatorio ha preso campo. Si è concluso in brevi battute in Tunisia e in Egitto. Ma con la Libia, è stato diverso. Con una sostanziale differenza: nei primi due Paesi i vecchi governanti non ci sono più e dietro i ‘ribelli’ ci sono i colonnelli. Al contrario, in Libia le cose non sono state così sbrigative come negli altri casi e le contromosse di Gheddafi reggono finora rispetto all’imponente urto dei bombardamenti aerei dell’Occidente guidato prima dagli Usa e poi dalla Nato.

L’Italia nella guerra libica

Libia

Ora io non credo che il Patto Atlantico sia rimasto estraneo e ininfluente sugli avvenimenti che si sono scatenati in modo uniforme e contemporaneo nei vari Paesi della costa africana del Mediterraneo. Lo scrivevano già nel 1975 gli strateghi della Nato: “Caratteristiche singolari del Mar Mediterraneo sono gli stretti relativamente angusti di Gibilterra e del Bosforo e, quando il Canale di Suez sarà riaperto al traffico, quello di Porto Said. Il controllo di questi punti di accesso ha avuto, in passato, una parte importante nel controllo di tutto il Mediterraneo ed è probabile che lo stesso accada in un qualsiasi conflitto futuro che veda impegnate forze aeree e navali.” E’ evidente che negli ultimi decenni, e specialmente dopo il crollo dell’Unione sovietica, la Nato abbia avuto davanti a sé il problema della ridefinizione dell’assetto dell’area Sud sotto il profilo della sua espansione e che, la soluzione filooccidentale della crisi egiziana e tunisina si è posta, come premessa necessaria all’attacco finale al nocciolo duro  qual è appunto la Libia. Una leva strategica necessaria al cambiamento definitivo del vecchio Mare Nostrum.

Quanto all’organizzazione militare, già nel 1975, la Nato scriveva: “Le forze nazionali precettate per la Regione Sud sono assegnate a cinque principali comandi dipendenti. La denominazione Nato dei loro comandanti e la sede dei rispettivi comandi, due terrestri, uno aereo ed uno aeronavale, sono le seguenti: Comandante Forze terrestri Alleate Sud Europa con sede a Verona, responsabile della Difesa terrestre dell’Italia Nord-orientale. Comandante Forze terrestri Alleate Sud-Est Europa con sede a Izmir, in Turchia, responsabile del coordinamento della Difesa terrestre della Grecia e della Turchia.

Comandante Forze Navali Alleate Sud Europa con sede a Napoli. E’ responsabile della protezione delle linee di comunicazione Nato nel Mediterraneo e delle operazioni navali nel Mar Nero. Comnavsouth è altresì responsabile delle operazioni aeree e navali antisom in tutto il Mediterraneo. Anche il comandante delle Forze aeree alleate Sud Europa ha la propria sede a Napoli. Egli è responsabile della Difesa aerea della Regione e della condotta delle operazioni aerotattiche mediante velivoli con base a terra. E’, inoltre, l’autorità cui compete il coordinamento della maggior parte delle operazioni aerotattiche nella Regione.”

E’ evidente che Napoli è solo una opzione organizzativa, una base operativa ceduta per conto terzi e che l’Italia, nel panorama di ciò che sta accadendo, con le sue finzioni umanitaristiche, conta quasi zero nei piani strategici che si sono messi in atto per mutare gli equilibri finora mantenuti, con l’apparente neutralità della Germania.

Per il momento ci tocca sperare che la situazione non peggiori, che predomini, da parte dell’intero mondo arabo, nonché russo e cinese, un atteggiamento solo teoricamente polemico e che Dio ce la mandi buona.

N.B.: Per la lettura della traduzione di un documento in lingua inglese della Nato, intercettato dai servizi di intelligence ungheresi nel 1975, vai al documento presente in questo blog (consultabile in copia dell’originale presso il nostro Archivio):

Nato: Regione Sud


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