Italia :::: Redazione :::: 16 novembre, 2011 ::::
Durante la recente discussione generale sul ddl stabilità – che ha portato alla caduta del Governo – un parlamentare ha preso la parola e, dopo aver provocatoriamente iniziato il suo discorso in francese, lo ha così concluso: «Preferiamo morire in piedi che vivere strisciando, come forse farà – ahinoi – una parte di questo Parlamento. Devo però registrare che quando uno straniero si è presentato in questo paese due “schioppettate” le ha sempre prese […]. Oggi si presentano da noi e in qualche modo metteranno un’ipoteca sulla democrazia». Si tratta dell’onorevole Massimo Polledri, deputato per l’Emilia-Romagna e membro della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione. Daniele Scalea lo ha intervistato per noi.
Onorevole, lei ha rivolto delle dure parole all’indirizzo di Francia e Germania. Ma in che modo questi due paesi starebbero minacciando la nostra democrazia?
All’origine dei più recenti problemi sul debito c’è la scelta della Deutsche Bank di vendere 7 miliardi di obbligazioni italiane. L’Autorità Bancaria Europea ha ultimamente preteso capitale aggiuntivo dalle banche italiane, valutando negativamente la loro esposizione ai BTP; ma nel contempo non ha riservato il medesimo trattamento ai ben più pericolosi “titoli tossici” di cui sono piene le banche francesi e tedesche. Un esempio d’ingerenza francese è quanto sta succedendo con Edison [la francese EDF è diventata azionista di controllo della compagnia milanese, ndr]. La verità è che l’Italia rischia di ridursi a terreno di conquista. Il recente crollo in borsa delle azioni di Finmeccanica potrebbe rappresentare un fosco presagio in tal senso.
Ma perché Francia e Germania dovrebbero avercela con l’Italia? Si tratterebbe solo d’interessi economici, oppure intravede anche qualche motivazione politica?
Sicuramente Berlusconi si è mosso, durante il suo governo, in maniera molto libera rispetto a quanto desiderato da Parigi e Berlino. Ne sono esempi l’asse con Londra e Washington durante l’era Bush, o le aperture alla Russia e la Libia. Forse si è mosso “troppo” liberamente. Ed oggi l’Italia è stata posta sotto tutela.
La Francia, poi, ha la tendenza storicamente radicata (si pensi alla Rivoluzione, cui seguì il tentativo di conquistare l’Europa intera) a diventare aggressiva verso i vicini nei momenti di crisi.
Ed effettivamente la Francia si è fatta molto aggressiva negli ultimi mesi, quanto meno in Africa: Costa d’Avorio e Libia ne sanno qualcosa. Ma in Libia, secondo lei, la Francia (e gli altri paesi) hanno davvero agito per proteggere la popolazione, coma da motivazione ufficiale, ovvero s’è trattato d’un pretesto per coprire secondi fini politico-economici? Ad esempio, Parigi potrebbe essere stata gelosa del rapporto privilegiato che l’Italia aveva con la Libia; rapporto di cui beneficiavano l’ENI e numerose aziende, anche piccole e medie imprese, italiane.
Non credo che la Francia si sia mossa per fare dispetto a noi, ma senz’altro i motivi umanitari erano molto relativi. Gli attuali reggenti della Libia, che includono gente descritta come vicina a Al Qaeda, non danno ragione di sperare che saranno migliori di Gheddafi. La stessa uccisione di quest’ultimo dimostra che, per ora, non v’è un cambio di passo. La motivazione economica, d’altro canto, è ben presente. Tant’è vero che autorevoli ricostruzioni giornalistiche lasciano supporre che la rivolta fosse stata programmata in anticipo dall’estero.
Ma lo zampino straniero potrebbe esserci anche dietro a molte vicende scandalistiche che hanno coinvolto il presidente Berlusconi negli ultimi anni…
In effetti, tra i documenti pubblicati da “Wikileaks” c’è anche un dispaccio dell’Ambasciata statunitense a Roma, in cui s’afferma che, scontenta del rapporto italo-russo, l’Ambasciata stessa s’era attivata presso gli ambienti giornalistici e politici (anche del PDL) per creare un clima ostile alla troppa stretta relazione tra Roma e Mosca [clicca qui per leggere il documento commentato]. Era il 26 gennaio 2009. Poco dopo cominciarono a venir fuori gli scandali relativi al Presidente del Consiglio, e si consumò una scissione all’interno del suo partito. Un caso?
Ritengo credibile che possa non essersi trattato di un caso. Sappiamo bene come l’operato dell’ENI talvolta confligga con gl’interessi statunitensi. Ma noi italiani non possiamo sempre piegarci.
Uno dei leit motiv degli ultimi vent’anni di politica italiana è stato il conflitto d’interessi. Ma non se ne può ravvisare uno nel dopo-Berlusconi? Mario Monti, nuovo capo del Governo, è “advisor” della banca statunitense Goldman Sachs. La stessa che, secondo la ricostruzione d’un organo accreditato come “Milano Finanza”, avrebbe condotto il gioco speculativo contro i BTP italiani negli ultimi giorni, fino alla caduta di Berlusconi. Monti avrà come interlocutore alla BCE Mario Draghi, già dirigente proprio di Goldman Sachs…
Il giorno dopo le dimissioni di Berlusconi le sue aziende hanno perduto pesantemente in borsa: un messaggio preciso, a mio giudizio, che gli è stato lanciato.
Chi ha giocato sul debito delle famiglie statunitensi è lo stesso che ha giocato sul debito italiano. La politica avrebbe dovuto riservare due randellate a costoro: invece ha consegnato le chiavi del potere ai loro amici. A europeisti e mondialisti avrebbe dovuto venire in mente di dare qualche regola; ma forse non l’hanno fatto coscientemente, perché c’è chi si è arricchito, e molto, sulle spalle dell’economia reale. Gli USA sono cresciuti a debito per anni. Oggi possiamo dire ch’era meglio l’Italia che cresceva con i capannoni, anziché chi cresceva con la finanza. Ma purtroppo nessuno ha controllato la speculazione. Forse perché gli stessi che la praticano hanno finanziato qualche campagna elettorale?
Un’ultima domanda: cosa ne pensa della possibile privatizzazione di aziende strategiche come ENI, ENEL, Poste, Finmeccanica?
Le privatizzazioni degli anni ’90 hanno dimostrato che tale processo, oltre a non essere condotto in maniera trasparente, non abbatte il debito ma anzi lo alza. Misure come la patrimoniale e le privatizzazioni sono strumenti utili per la politica clientelare, ma la realtà è che il debito s’abbatte solo con lo sviluppo.
Daniele Scalea
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