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L’Italia torna in Somalia

Creato il 18 febbraio 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Denise Serangelo

Sono passati 20 anni da quando nel dicembre 1992 ai Generali di Divisione Giampiero Rossi prima e Bruno Loi dopo, veniva ufficialmente conferito il comando del contingente italiano – composto da 12.000 giovani soldati di leva – che si sarebbe schierato in Somalia nell’ambito dell’Operazione “Italfor-Ibis”: era questo il contributo di Roma alla fallita missione dell’ONU (la United Task Force, UNITAF, subentrata alla United Nations Operation in Somalia, UNOSOM I) che tentò di stabilizzare il Paese dopo lo scoppio della guerra civile seguita alla caduta del regime di Siad Barre.

Già durante lo scorso mese di giugno i paracadutisti della Folgore erano tornati a Mogadiscio in pianta stabile, questa volta in appoggio alla missione dell’Unione Europea che si occupa dell’addestramento e della qualificazione delle forze di sicurezza somale. Istituita dal Consiglio Europeo nel gennaio 2010, la “European Union Training Mission to contribute to the training of Somali security forces” (EUTM Somalia) – che ha a Kampala il suo quartier generale, a Bihanga (Uganda) una base addestrativa e a Nairobi (Kenya) un ufficio di collegamento – ha fino ad ora contribuito alla formazione di circa 3.600 militari somali focalizzandosi in particolare sulla preparazione di ufficiali, specialisti e istruttori.

Questa iniziativa messa in campo dall’UE si inquadra in una prospettiva più ampia e volta a contribuire nel lungo periodo alla messa in sicurezza del Paese, ancora attraversato dalla guerra civile e segnato dalle rappresaglie e dalle violenze dei signori della guerra locali. Si inscrivono in questo contesto, infatti, non solo la concessione di una nuova tranche di finanziamenti da 650 milioni di euro nell’ambito del Somali Compact (a sua volta basato sul “New Deal Strategy for Engagement in Fragile States”, un processo che dal 2011 promuove la riforma della strategia di erogazione degli aiuti diretti ai cosiddetti “Stati Fragili”), ma anche ulteriori attività a sostegno della sicurezza: la EUNAVFOR Somalia-Operazione Atalanta, volta a prevenire e reprimere gli atti di pirateria marittima; la missione EUCap Nestor, che contribuisce alle capacità di polizia costiera e al rafforzamento dei meccanismi di giustizia; il sostegno all’AMISOM, la missione di pace dell’Unione Africana in Somalia.

Il processo di peacebuilding avviato nel Paese, e che fonda le sue radici concettuali proprio nel know-how appreso dagli italiani in Somalia nel 1992, è finalizzato alla riconsegna dell’intero Stato al Governo Federale di Transizione della Somalia (TFG o Dowladda federaalka kumeelgaarka) attualmente riconosciuto a livello internazionale (e dagli Stati Uniti soltanto dal gennaio 2013 a seguito dell’insediamento di Hassan Sheikh Mohamud alla Presidenza del Paese).

Una delle tappe fondamentali di questo lungo percorso verso la gestione autonoma del potere centrale è proprio la riforma del settore sicurezza – noto con la sigla di SSR – che il contingente internazionale sta portando avanti affiancato proprio dalle truppe dell’Unione Africana: queste hanno difatti contribuito in modo determinante ad allontanare – anche se non in maniera definitiva – nel maggio 2012 i movimenti jihadisti da Mogadiscio e dai suoi dintorni (oltre alla città portuale di Chisimaio) creando le condizioni per l’insediamento dell’EUTM Somalia. Riconsegnare nelle mani dei soldati e dei poliziotti somali la possibilità di combattere i terroristi presenti sul territorio è un considerevole passo in avanti verso quello che già 20 anni fa gli Italiani intendevano costruire: uno Stato somalo autonomo e indipendente.

Sebbene oggi le forze di al-Shabaab sembrino non essere più in grado di agire incisivamente nella capitale – vuoi anche per le sempre più evidenti divisioni interne al gruppo (acuitesi dopo l’uccisione di Fazul Abdullah Mohammed, l’ideatore degli attentati di Kampala nel 2010, da parte dei soldati del TGF) –, esse non sono comunque definitivamente neutralizzate e ciò anche grazie sia alla strategia di reclutamento a livello internazionale sia ai continui contatti con le altre realtà terroristiche (AQAP, AQMI e Boko Haram). Infatti vengono quotidianamente e con minuziosa perseveranza messi in atto veri e propri attacchi suicidi e attentati contro esponenti del governo somalo e sedi istituzionali internazionali presenti sul territorio e nelle aree limitrofe, come per esempio quello dello scorso 21 settembre allo shopping center Westgate Mall di Nairobi o, da ultimo, quello dello scorso 13 febbraio contro un convoglio delle Nazioni Unite proprio all’aeroporto di Mogadiscio.

Molti esperti di terrorismo internazionale sostengono che non sia errato pensare ad uno scambio piuttosto importante di informazioni e di conoscenze con gli esponenti di al-Qaeda in Afghanistan: le tecniche e gli artifizi usati in Somalia oggi sono simili a quelli utilizzati negli ultimi sei anni contro le truppe ISAF. L’Italia, che da anni è impegnata nello studio e nella ricerca utile ad arginare il problema degli ordigni esplosivi improvvisati (IED) è stata chiamata dalle autorità europee a dare il proprio contributo per analizzare e trovare una soluzione alla grave situazione di guerriglia che si combatte in tutta la Somalia.

Il comando avanzato della missione europea rappresenta dunque per i terroristi una presenza ostile, nonché una delegittimazione del loro gioco di potere basato sulla paura e sulla coercizione della popolazione indifesa. Lo scopo principale della guerriglia messa in atto da al-Shabaab è quello di intimorire e sminuire agli occhi dell’opinione pubblica internazionale il lavoro del contingente: è sulla base di ciò che a protezione del comando e della base è stato posto un plotone di paracadutisti del 186° reggimento di Siena proveniente da Gibuti, quello stesso reparto che nel luglio del 1993 partecipò alla cosiddetta “battaglia del pastificio” (battaglia del Checkpoint Pasta) e distintosi nel 2009 e nel 2011 in Afghanistan in operazioni contro i guerriglieri Talebani. Oggi come allora la divisione è affidata al Colonnello Gerolamo De Masi, già nel 1993 a capo della compagnia Leopardi del 183° reggimento paracadutisti “Nembo”, protagonista proprio della battaglia del 2 luglio.

Il processo di SSR non ha un tempo predefinito per sua natura ma è facile immaginare che per costituire un esercito capace di operare in modo autonomo contro terroristi non saranno sufficienti un paio di anni. D’altra parte la stessa missione EUTM Somalia è stata nuovamente prorogata fino a marzo 2015.

Data la preparazione mai messa in discussione della Brigata Paracadutisti che negli ultimi anni si è contraddistinta all’estero e su territorio nazionale per affidabilità e competenza, gli organi di comando internazionali hanno deciso di nominare comandante della missione dell’EUTM il Generale Massimo Mingiardi. Questi, già Comandante della Brigata Paracadutisti Folgore, ha assunto l’incarico lo scorso 15 febbraio secondo quanto stabilito dal Comitato politico e di sicurezza (CPS) dell’UE. Alla missione, che ha un bilancio di 11,6 milioni di euro per il biennio 2013-2015 e che è composta da 125 militari di 13 Paesi (12 appartenenti all’UE più la Serbia), partecipano già da tempo una trentina di miliari italiani, per lo più paracadutisti, con compiti di insegnare e formare i futuri istruttori dell’esercito somalo.

La rinnovata attenzione europea, ma soprattutto italiana, nei confronti dell’area somala potrebbe portare ad una stabilizzazione della zona, riducendo il rischio di un acuirsi del clima di guerra civile e riducendo il livello di povertà della popolazione somala. Gli indiscussi risvolti di una stabilità politica e sociale della Somalia “terrestre” potrebbe non di meno portare ad una diminuzione anche di quelle che sono le attività di pirateria nel Golfo di Aden, dove attualmente prendono servizio alcune fregate della Marina Militare proprio in virtù degli accordi internazionali per limitare la diffusione del fenomeno in questione nel Corno d’Africa e nel Mar Arabico. Un lavoro sicuramente lungo e complesso, che non si potrà limitare al solo contributo militare, ma che porterà i suoi frutti ad un Paese che da almeno due generazioni non riesce a trovare nessun tipo di pace.

* Denise Serangelo è Dottoressa in Scienze Strategiche (Scuola di Applicazione e Studi Militari dell’Esercito – Università di Torino)

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