Come si fa a non tenere all’italiano, anche quando l’inglese ha pervaso ogni ambito della nostra vita quotidiana, fino a diventare lingua ufficiale della globalità? È questo il senso della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, giunta alla XIV edizione e svoltasi tra il 20 e il 25 ottobre.
Ma non basta una settimana a salvare e difendere l’italiano. Proposta per la prima volta nel 2001, in occasione dell’anno europeo delle lingue, per iniziativa dell’allora Presidente dell’Accademia della Crusca – Francesco Sabatini, nonché Presidente Onorario dal 2008, la Settimana della Lingua Italiana nel Mondo è il frutto di una collaborazione tra l’Accademia e il Ministero degli Affari Esteri. La macchina organizzativa va poi oltre i confini italiani e si avvale del contributo di istituti, consolati, università e altri enti o associazioni coinvolti nello studio e nella promozione della nostra lingua madre (si pensi alla Società Dante Alighieri e ai suoi 500 comitati).
Può sembrare una goccia nell’oceano la difesa e valorizzazione dell’italiano oggi, ma è una lingua comunque parlata al di là dei contorni geografici del nostro stivale. È praticata, infatti, anche in Svizzera, Etiopia, Eritrea, Slovenia, Argentina e non solo. Con orgoglio, sottolineiamo che l’italiano è la quarta lingua al mondo più studiata.
È la lingua di Dante, Leopardi, Manzoni, per restare sui classici. Ma è anche la lingua di Saviano, Erri De Luca, Beppe Severgnini, per citare alcuni contemporanei che l’hanno scelta come strumento di lavoro. Non a caso “Scrivere la nuova Europa: editoria italiana, autori e lettori nell’era digitale” è stato il tema di questa edizione, ricca di mostre, spettacoli, incontri.
Più che fare un resoconto di quanto già accaduto, abbiamo a cuore la sorte dell’italiano stesso. Perché tenere a una lingua che, per quanto praticata anche fuori dalla nostra penisola, è pur sempre parlata da un numero ristretto di individui nel mondo?
Bè, l’italiano è la lingua più musicale del globo e aperta in senso lato: ogni parola ha almeno una vocale (se pensiamo ad “aiuola”, le vocali sono praticamente la quasi totalità). È ricca di sfumature, appartiene a un Paese che produce cultura (nonostante tutto!), esporta automobili da sogno, fa moda, si fa strada nel panorama culinario (anche all’estero dicono pasta, spaghetti, pizza, cappuccino), possiede un patrimonio artistico invidiabile (se così non fosse, la Gioconda l’avremmo in Italia!). È lingua franca nell’ambito musicale, ha dato vita all’Opera e al bel canto. Qualcuno ha addirittura definito la nostra una lingua di piacere, per l’uso di superlativi in grado di mostrare l’intensità del piacere e della bellezza.
E, allora, piuttosto che storpiare continuamente l’italiano (con errori imperdonabili, come: “qual’ è?”, “un pò” e simili), perché non imparare a parlarlo con destrezza e orgoglio?
Perché all’estero dovrebbero apprezzarlo e noi no?
Susanna Maria de Candia