“Mi dipingo col sangue.
Lo indosso,
come un vestito,
come un ricordo
che copre la mia anima.
L’odore domina l’aria.
Lo respiro.
Chiudo gli occhi e vedo te.
Vedo te,
che mi hai donato un cuore,
vedo te,
che mi hai donato sangue.
Sangue, linfa di vita,
di quella stessa vita,
che hai rifiutato.
In quella vita,
ora orfana e reitta,
c’era il mio amore
… per te”.
“Il male si dimentica in fretta e dopo arriva il piacere. L’importante è saperlo fare bene. La ferita deve essere sottile e non troppo profonda, così si rimargina in fretta, e la lama affilata come un bisturi. In commercio se ne trovano parecchie e nel mercato nero si possono acquistare gli stessi strumenti utilizzati nelle sale operatorie. Costano molto, ma ne vale la pena. Quando incido la pelle, per una frazione di secondo, non succede nulla. Poi, all’improvviso, il sangue sembra risvegliarsi ed esce copioso, inondando lo spazio circostante. Lo scruto e vedo la mia linfa sgorgare, come un torrente di acqua sotterraneo che vuole trovare il suo sbocco verso la luce. Allora sento nell’aria quel forte odore ferroso e pungente, quasi fastidioso, ma col tempo ci si abitua e si impara ad amarlo. Poi guardo intensamente il mio sangue. Lo vedo scendere e macchiare, come inchiostro che cola dal pennino. Lo tocco con l’indice e lentamente lo distribuisco sulle dita dell’altra mano, affinché i polpastrelli ne siano intrisi. Ne deposito una parte sul palmo e accuratamente lo spalmo in forma circolare. L’odore diventa ancora più forte, quasi insopportabile, ma devo farlo perché anche questo servirà allo scopo. Non tampono la ferita e continuo a fissare il taglio, fino a immaginare il mio corpo coperto di piccole lacerazioni piangenti. Solo allora arriva la meraviglia, annunciata da un leggero capogiro, come un principio di svenimento. Improvvisamente mi sento più debole, non per l’eccessiva perdita di sangue, ma per quell’odore forte, quasi nauseante e per la vista delle macchie rosse. Chiudo gli occhi e la mia mente vola lontano dal presente. Mi gusto questo momento senza eccedere e mi risveglio dopo una decina di minuti. L’eccesso si tramuta in ordinario e questo non deve mai accadere. Perché mi taglio? Il dolore è come l’amore, sono sentimenti forti, e io con il dolore e il sangue posso ricordare l’amore. Mi rivedo in quel grigio pomeriggio d’inverno quando rientrai a casa dopo la scuola. Appena aprii l’uscio percepii un silenzio innaturale, come se tutto si fosse fermato in attesa di un evento particolare. Cercai mia madre, ma la cucina e la stanza da letto erano vuote e allora pensai che fosse uscita. Stavo raggiungendo il bagno quando sentii uno strano odore, pungente e ferroso nello stesso tempo. La porta era socchiusa. Improvvisamente mi girò la testa per via di quell’odore sconosciuto mai sentito prima. Della tua casa conosci tutto. Potresti girarla a occhi chiusi e sapresti trovare ciò che ti serve. Riconosci anche gli odori e ti agiti quando ne avverti uno nuovo, che la tua mente non ha mai catalogato. Ero lì, immobile davanti a quella porta, cercando di trattenere il respiro per non contaminare i miei polmoni e fermare il vortice che avevo in testa. Avevo una fottuta paura, sapevo che c’era qualche cosa di nuovo che mi stava aspettando, un fatto che avrebbe cambiato la mia vita per sempre. Allora, ubriaco di quell’odore, lentamente appoggiai la mano tremante sulla porta e la spinsi chiudendo i miei occhi in segno di difesa”.
Proprio come fece da bambino Sebastiano chiuse gli occhi, e io lo guardai.
Aveva la pelle chiara, pallida, sembrava si potesse dissolvere in un solo attimo e sparire in mezzo alla nebbia del mattino. Gli guardavo le braccia e le gambe segnate dai piccoli tagli. Alcuni erano di un colore rosso acceso e altri assai meno appariscenti, ma tutti risaltavano sovrani in mezzo a quella pelle candida e bianca, completamente depilata. La muscolatura del suo corpo era ben disegnata, non molto alto, ma perfetto nelle proporzioni. Mi sembrò identico a un pugile del Canova che un pazzo aveva osato sporcare con un pennarello rosso indelebile. Si presentò a me nella sua nudità, perché voleva mostrarmi il suo essere, il suo modo di vivere e di sentire quel suo amore.
“Ecco, io la ricordo così. L’odore del sangue ci unisce. Lei mi ha donato tutto quello che circola nelle mie vene e io non la potrò mai dimenticare”.
Allora prese del disinfettante, pulì accuratamente un lembo di pelle del suo avambraccio, poi con il bisturi incise un piccolo segno che, dopo alcuni secondi, si riempì di sangue.
“Fermati!” gli urlai.
Lui mi guardò dritto negli occhi, ma continuò a svolgere tutte le operazioni di quel suo strano rito. Chiuse gli occhi e vidi il suo viso distendersi alla meraviglia. Mi sembrò improvvisamente sereno e appagato, come se la tempesta che aveva dentro lo avesse momentaneamente abbandonato.
Mentre guardavo il suo viso, vidi le sue labbra aprirsi e in un filo di voce, nel silenzio di quella stanza alla fine del mondo, gli sentii pronunciare le parole:
“Mamma, mamma, sei qui… “.
Potevo andarmene, uscire da ciò che percepivo come un incubo, lasciare Sebastiano e quello strano modo di amare ma, in un attimo di esitazione, guardai nuovamente il suo viso, le labbra carnose e la testa ben rasata. Allora, come per un riflesso incondizionato, presi del disinfettante e medicai la ferita coprendola con della garza.
Poi mi spogliai, mi misi accanto a lui e delicatamente appoggiai la testa sopra il suo torace per ascoltare i battiti di quel cuore che faceva scorrere il sangue.
Il racconto che avete letto è opera di Pagu ed è risultato uno dei migliori tra quelli che hanno partecipato al Laboratorio di Febbraio 2014, vincendo a ex-aequo con ben altri due racconti. In seguito è stata necessaria un’ulteriore votazione (da parte del vincitore dello scorso Lab questa volta) per decretare a chi spettasse il podio e questo testo si è classificato primo. Il tema da seguire era stato scelto da Ariendil (vincitore del Lab di Gennaio 2014).
La traccia scelta da Ariendil era: Il monologo.
Il limite di lunghezza era di 6000 caratteri (spazi inclusi). Il racconto doveva contenere un monologo, con dei vincoli piuttosto impegnativi:
1. doveva essere sotto forma di discorso diretto;
2. doveva essere inserito all’interno di un dialogo tra due o più personaggi;
3. doveva rappresentare almeno un quarto dell’intero racconto.
Pagu