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L’odore di ciambelle

Da Marcofre

Ancora Čechov, ebbene sì. Sono un po’ monotono in questi giorni, capita, succede.

 

Nel racconto si sente fortemente l’ambiente, odora di ciambelle.

 

Scrive così lo scrittore russo. Interessante vero? Come sono materialisti questi russi! Prima parlano di palpare con le mani, e poi, come se non bastasse, aggiungono l’odore delle ciambelle.

Be’ sì, credo che si chiami “comunicazione”. Quello che molti scordano è che la scrittura è comunicazione, oppure nient’altro che una stanca sequela di parole.

Come? Come si fa a far sentire l’odore delle ciambelle?

Buona domanda.

Una possibile risposta potrebbe essere questa: devi mangiarne almeno una. Ma anche se appare una posizione ragionevole, è troppo limitata. Certo, appare improbabile che non si sia mai assaggiato una ciambella. Tuttavia non è affatto necessario averne mangiato una per farne sentire l’odore.

 

La testa di pescecane era stata avvolta in un sacco di iuta e sepolta nella sabbia. Dopo sette settimane e venti minuti di lavoro di vanga, era stata disseppellita, tagliata a strisce e messa a seccare per tre mesi. Infine a tavola, sprigionava un tale odore di ammoniaca da rendere quello dei rifiuti chiusi in un cassonetto di metallo sotto il sole di agosto, una boccata di aria fresca.

 

Non saprei. Non ci sono regole, ma solo linee guida.
Di certo siamo ciccia, e alla ciccia dobbiamo badare e parlare. Alla ciccia si arriva attraverso i sensi.

Se perciò non sai bene come parlare di una cosa che non conosci (chi diavolo mangia la testa di pescecane? Gli islandesi), prova a partire da quello che conosci.


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