I nemici più insidiosi per l’ambiente sono quelli nascosti. Tra questi c’è senza dubbio l’olio di palma, ingrediente fondamentale di gran parte dei prodotti da forno e fritti dell’industria alimentare e inserito a pieno titolo nella lista dei cosiddetti “biocarburanti”.
Nell’ultimo decennio la coltivazione delle palme da olio, controllata sia da grandi multinazionali dell’energia e dell’alimentare, che da piccole imprese familiari, prevalentemente cinesi o malesi, ha sottratto milioni di chilometri quadrati alle foreste del Asia sudorientale, distruggendo in pochi anni sconfinate torbiere di origine antichissima, che fornivano il nutrimento ad uno degli ecosistemi più ricchi e delicati della Terra.
Una bella inchiesta di Raimondo Bultrini, pubblicata su L’Espresso del 24 febbraio scorso, descrive, con l’aiuto delle drammatiche immagini del fotografo americano James Withlow Delano, la devastazione del Parco Naturale di Taman Negara, nel Borneo. Fino a pochi anni fa, questo territorio era la patria degli indigeni Penan e Batek, popolata da migliaia di specie vegetali ed animali. Ora è solo un immenso palmeto, irrorato di pesticidi, che fornisce olio alle raffinerie ed alle industrie alimentari di tutto il mondo.
Come se non bastasse, le palme da olio, la cui coltivazione per la produzione di bio-diesel viene incentivata dai governi come antidoto all’effetto serra, forniscono all’atmosfera molto meno ossigeno, e trattengono molto meno carbonio, della vegetazione originaria che viene tagliata o bruciata per lasciare spazio alle piantagioni.
Come spesso succede, l’evidenza dei dati non riesce a fermare meccanismi politici ed economici di scala mondiale e, se niente cambierà, l’utilizzo dell’olio di palma come combustibile per le automobili o per la produzione di energia, sembra destinato a diffondersi enormemente nei prossimi anni. Solo in Italia, dove lo stato incentiva l’utilizzo dell’olio di palma come fonte energetica “verde”, è prevista la costruzione di una ventina di piccole centrali per la produzione di energia elettrica che bruceranno questo combustibile.
In campo alimentare, il danno dell’olio di palma è doppio. La sua presenza è praticamente invisibile, dal momento che la legge non prevede di specificare la provenienza di tutti gli ingredienti e consente di utilizzare classificazioni generiche, come quella di “oli vegetali”. L’olio di palma però è praticamente dappertutto, nelle merendine, nel pane industriale, nelle patatine fritte e perfino nelle brioches dei bar. Oltre ad essere insostenibile dal punto di vista ambientale, questa sostanza è anche poco sana. Possiede infatti una percentuale di grassi saturi, che favoriscono l’aumento del colesterolo, paragonabile a quella dei grassi di origine animale.
Le campagne delle associazioni ambientaliste, soprattutto Greenpeace, iniziano per fortuna a sortire qualche effetto. Alcune grandi multinazionali dell’industria alimentare, come Nestlè ed Unilever, temendo una pubblicità negativa, hanno deciso infatti di limitare l’utilizzo di olio di palma per i propri prodotti, anche se la scarsa trasparenza delle etichette degli alimenti rende molto difficile monitorare la reale efficacia di questi provvedimenti.
Autore: Giacomo Pettenati