Il governo Renzi ha pregi che rischiano di restare di facciata: competenza, freschezza, snellezza e parità di genere. Di contro, è del tutto privo delle due virtù indispensabili per un governo di legislatura che si proponga l’uscita dalla palude: la personalità e la creatività. Per quanto Renzi non abbia il benché minimo deficit di autostima, difficile credere che possa pensare di colmare questo vuoto esclusivamente con la sua indiscutibile verve. Paradossalmente, il governo Letta era ben più attrezzato caratterialmente e si è visto come è andata a finire.
Nello specifico, la conferma di Alfano, Lupi e Lorenzin marchia il governo nascente nel segno di un’imbarazzante continuità col precedente. Il rospo da mandare giù, in particolare per il titolare del Viminale, è decisamente grosso. Per il resto, un’operazione cencelliana in tutto e per tutto. Il coinvolgimento del suo cerchio magico è stato alquanto marginale, segno evidente della volontà del premier di risparmiarsi le cartucce. I Ministeri economici hanno tutta l’aria di essere dirimpettai destinati a litigare su tutto.
Per quanto riguarda i due casi, la mancata riconferma di Emma Bonino agli Esteri e il mancato incarico a Gratteri alla Giustizia, non mi pare che ci sia niente di scandaloso. La Bonino, per quanto indubbiamente più esperta della Mogherini, non mi pare che abbia brillato nei dieci mesi del governo Letta, prima appiattendosi alla più mediocre Real politik nel caso Shalabayeva, poi incapace di far valere il proprio peso internazionale sulla delicata questione dei marò in India. La ventilata nomina di Gratteri mi sembra più un escamotage renziano per imporre a Napolitano l’avvicendamento alla Farnesina. Il Pm, indubbiamente personalità di livello, avrebbe compromesso i precari equilibri di maggioranza e sarebbe stato esposto al fuoco di fila dei berlusconiani. Al suo posto, Orlando, garantista ma rigoroso sul rispetto delle regole, a mio parere tra i pochi ministri del governo Letta ad essere stato attivo e propositivo.