Magazine Diario personale

L'Ombra nella nebbia - 1. Di nebbia e tempesta

Da Lillyaylmer

L'Ombra nella nebbia - 1. Di nebbia e tempesta

art by me/Fotolia stock


Al mio grande sognatore,
consapevole che le Tenebre si addensano
solo dove la Luce è abbagliante.
Un ricciolo di fumo saliva dalla tazza di tè, dissolvendosi in silenzio.L'uomo scorse un'ultima volta i ghirigori d'inchiostro che riempivano la lettera poi, con un sospiro, assaporò un altro sorso della bevanda.«Brutte notizie?»Sotto l'arco della porta, una donna ormai in là con gli anni osservava attentamente il giovane; si sorprese molto quando fu invitata a sedersi.«Tutt'altro», sussurrò l'uomo quando si trovarono l'uno di fronte l'altra, «l'editore mi ha appena scritto che il mio ultimo manoscritto lo ha entusiasmato».Il volto dell'anziana si distese in un sorriso, che però svanì subito nel vedere lo sguardo meditabondo del suo interlocutore. Prese una mano tra le sue ma, a quel contatto, l'uomo trasalì e si ritirò con uno scatto. «É la sua storia» spiegò, sfregandosi gli occhi con l'indice e il pollice. La donna annuì.Un filo d'aria s'insinuò dalla finestra. A quel respiro, le tende si animarono, come fantasmi in cerca di ascolto.1.Di nebbia e tempesta.
Il manto plumbeo della tempesta oscurava il cielo sovrastante il Maniero. La costruzione si ergeva sulla brughiera come un protettore indomito, o un sanguinario assassino. Dalla nebbia lattiginosa avanzava un’ombra impercettibile, danzando come una fiamma al vento; osservava da sotto il largo cappuccio l’alta costruzione, spettro di un passato che non voleva scomparire.L'odore dolciastro della pioggia le punse la gola, portando alla mente ricordi che solo le lacrime sapevano raccontare.«Signorina!» Lo stridulo richiamo spezzò l'incanto. «La scongiuro signorina, entri in casa, sta per arrivare una tempesta!» supplicò la donna, mentre trascinava per il braccio la figura ammantata.Margareth Cavendish non era mai stata una donna di molte parole e quelle poche che pronunciava erano ordini mascherati da agitata paura per qualche male che infettava il mondo, forse alimentato da lei stessa.L’edificio le ingoiò, serrando le porte dietro di loro. «Non mi sarei sciolta sotto la pioggia,» sussurrò la ragazza «non sono una strega». Con un sorriso divertito sulle labbra, si calò il cappuccio sulle spalle, liberando una cascata di ricci neri. La luce cerulea degli occhi era l'unica nota di colore sul suo viso esangue, che osservava con cipiglio annoiato l'immenso ingresso vuoto dell'abitazione. «Non dica sciocchezze» la rimproverò la governante «se si prendesse un malanno...»«Il corpo non mi tradisce come la mia anima» rispose l'altra con un sussurro, poi cominciò a salire le scale senza guardarsi indietro.Euphemia Heathbridge, signora del maniero, era più che consapevole che una delle poche cose che infastidivano la signora Cavendish era notare come i suoi sforzi per renderla felice fossero inutili e usava a suo vantaggio la debolezza umana della governante per allentare le catene che la legavano a quei luoghi infausti.L'arredamento del maniero era spoglio e consunto, con la carta da parati ormai sbiadita e i lampadari che sembravano non essere più in grado di dar luce. Ad animarlo era solo il cupo scricchiolio dei mobili, che intonavano malinconici dialoghi, come dei vecchi compagni di taverna. La porta si aprì senza far rumore, lasciando intravedere il pallore cinereo della tempesta che rischiarava l'ambiente; la stanza era al piano più alto come, nelle fiabe, la torre dove erano rinchiuse le principesse. A imprigionarla, però, non era stata una strega cattiva, ma lei stessa.Euphemia si sedette alla finestra a osservare la brughiera che si stendeva fino all'orizzonte dove, lontano come un sogno, s'intravedeva il confine delle terre della famiglia Heathbridge, le rovine dell'abazia di Whitby.Il palazzo era arroccato su un'altura per dominare la vallata. Un ponte sovrastava alcuni corsi d'acqua e rigagnoli di pioggia che solcavano la pianura incolta.Tra le nubi si diramò un lampo che squassò la monotonia del buio e si spense nel fragore del tuono assordante. La tempesta sarebbe arrivata assieme alla notte. Sotto la luce dei fulmini, qualcosa catturò la sua attenzione, dissolvendo per un attimo la sua indolenza. La ragazza aprì la finestra e si sporse per guardare: una sagoma scura percorreva la brughiera, apparentemente sperduta nella landa isolata che la circondava. Accese la lampada, ma la sottile lingua di fuoco che emanava era inerme contro il crepuscolo.Il leggero colpo alla porta non la distrasse dalla sua indagine, si arrese solo al ronzio insistente della sua domestica; distolse gli occhi dalla finestra e fissò la ragazzina davanti a lei che parlava con lo sguardo incatenato al pavimento, terrorizzata.«No» tagliò corto la signora del maniero, arcuando irritata il sopracciglio. Si volse ancora verso la finestra. Al cercare quell'ombra, ormai scomparsa, il suo sguardo si smarrì nella nebbia, e torpore tornò ad avvolgerla.«Signorina, la prego...» azzardò la ragazzina con voce tremante «presto pioverà, la signora Cavendish vorrebbe accendere i camini».«Niente fuoco, lo sapete» ammonì Euphemia, avvolgendosi nella mantella di lana ed esalando un profondo respiro nel vedere l'intrusa rimanere fissa al suo posto. «Perché non è la signora Cavendish a chiedermelo?».Iaele, la piccola domestica a cui era capitata la malasorte di quella conversazione, si strinse le mani in grembo nel tentativo disperato di non sembrare  atterrita dal tono irritato della padrona. «La signora Cavendish sta sistemando il maniero per la notte e il maestro di palazzo non è ancora torn...». «Adesso è così che si fa chiamare Goddfriegh?» domandò Euphemia, abbandonandosi a una risata. Si voltò di scatto facendo sussultare la servetta «Accendete, ma non alimentateli, devono spegnersi» ordinò camminando verso la ragazzina, per spingerla fuori dalla stanza. «Domattina non voglio trovare le braci calde, o sapete cosa accadrà.» minacciò alla fine, poi sbatté la porta contro il volto della domestica, che pochi istanti dopo corse via a dare la buona notizia.Un miagolio richiamò la sua attenzione. Arricciò la gonna tra le mani e osservò il gattino nero avvolgersi attorno alle sue caviglie, lisciandole con il soffice pelo.«Ti porta la pioggia o la notte, Lucifero?» trillò la ragazza prendendo tra le braccia l'animale. Un sorriso le distese il volto al sentire il miagolio profondo di risposta. «Volevi avvertirmi di quell'ombra?» propose Euphemia, portandolo sul letto.Si svestì di fretta, senza badare a dove cadessero gli indumenti. Era tempo ormai che non seguiva etichette né altro, con somma disperazione della signora Cavendish che non aveva più la forza di controllarla.L'eredità lasciata dai suoi genitori era arrivata fin troppo presto e in circostanze che in pochi avrebbe saputo affrontare, ma la Signora del Maniero, come la chiamava la sua governante quando voleva renderla più accondiscendente, era assuefatta fin dall'infanzia alle intemperanze umane, riuscendo a vivere delle poche gioie che le dava quella situazione, tanto più quando poteva accrescere il catalogo dei propri vizi che avevano come unico limite la noia, tra silenzi e urla.La ragazza indossò la camicia da notte, appoggiò la vestaglia di lana sul letto e prese in braccio il felino che si era accucciato proprio sul cuscino, adagiandolo accanto a lei sul letto.«Andrà tutto bene, Lucifero» cominciò all'improvviso rivolta all'animale, che la osservò con gli occhi di giada dilatati. «É una notte perfetta, le tempeste portano sempre grandi novità». Sbadigliò, strusciando il volto sul cuscino, poi osservò un'ultima volta la finestra. «O tremende sciagure...» concluse in  sussurro, mentre il sonno le chiudeva gli occhi.Non vide il felino continuare a osservare la pioggia che cadeva irrefrenabile.
Le forme vivide dei sogni si sciolsero in arabeschi confusi, lasciando sfumare l'incoscienza nella veglia. Un sottofondo roco fece tremare il corpo, che rispose con un sussulto improvviso, e il brusio divenne un miagolio disperato. Gli occhi abbagliati dal buio distinsero le forme della stanza solo quando anche il corpo riuscì a districarsi in quell'ambiente conosciuto.«Lucifero» supplicò Euphemia tentando di non cadere a terra «smettila...». Aprì la porta per far uscire il gatto e lo osservò fermarsi fuori al corridoio e miagolare.«No» gli rispose la ragazza. Stava già per richiudere la porta e tornare al caleidoscopio dei suoi sogni, quando sentì dei rumori. Socchiuse gli occhi r allungò l'orecchio verso il corridoio. La tensione aveva ormai lacerato il velo del sonno, ma il brusio era ancora soltanto un sussurro affogato nello scrosciare della pioggia.Lucifero scappò giù per le scale. La ragazza, ormai sveglia, si coprì con la vestaglia e prese le pantofole, uscendo dalla stanza a piedi nudi per non far rumore.I lampi del temporale illuminavano il corridoio, proiettando sulle pareti le ombre dei mobili, che seguivano la ragazza a ogni passo mentre percorreva il corridoio deserto. Man mano che scendeva le scale, i sussurri divennero le voci allarmate di ombre vivide che si muovevano lungo le pareti. La luce calda delle lampade invadeva l'ingresso affollato.Quando raggiunse l'ultima scalinata, Euphemia si trovò al cospetto dell'intera servitù. «Siete impazziti?» tuonò la ragazza, scendendo le scale con passo pesante «cosa state...» s'interruppe sentendo un colpo alla porta.«Non volevamo disturbarla, signorina» tentò di calmarla la signora Cavendish «questo rumore ci ha svegliato tutti e non sappiamo cosa sia».«Un fantasma» piagnucolò una delle cameriere più giovani.Euphemia roteò gli occhi irritata. «Per la mia esperienza so che i fantasmi non tengono al galateo» sbuffò avvilita «Sarà qualche ramo che...». Un urlo cupo la zittì, gelandole il sangue nelle vene. «I rami non strillano, signorina» concluse la servetta di prima, guadagnandosi un'occhiata di disappunto dalla signora Cavendish. «Cos'altro può arrivare qui, ormai?»«Potrebbe essere un forestiero» ipotizzò la padrona, prendendo una delle lampade accese e avviandosi alla porta.Un brusio si diffuse tra i domestici.«Peggio di un fantasma» sussurrò la giovane domestica, che sostenne lo sguardo della signora Cavendish. «Non oso immaginare chi mai potrebbe riuscire ad arrivare fin qui!» «Signorina, la prego...» supplicò la governante tentando di non dar retta alle paure della giovane.Euphemia scosse la testa e le fece segno di non seguirla, ma una mano le cinse il polso con una leggera stretta, preannunciando la voce della sola persona che riusciva a infonderle calore nel cuore. Alzò lo sguardo e sorrise «Bentornato, Maestro di palazzo». Schernì l'uomo, sbattendo le lunga ciglia nere.Goddfriegh Cavendish sollevò il folto sopracciglio bianco e socchiuse gli occhi accigliato, mentre si voltava verso l'inventrice di quell'assurda nomina, sua moglie, la quale però non percepì alcuna minaccia. Sospirando, il canuto precettore del Maniero si rivolse ancora a Euphemia.«Mi perdoni se la ostacolo, signorina» cominciò il maggiordomo, arricciando gli angoli della bocca in un sorriso beffardo «per quanto la cosa possa costarmi un'ulcera allo stomaco, devo dire che la signora Cavendish ha ragione a temere per il peggio».«Sono abituata al peggio» disse Euphemia con tono risoluto. Nondimeno, a ogni colpo sentiva quegli oscuri mugugni vibrarle lungo la schiena, costringendola a cedere a un fremito di paura.«Signorina,» l'uomo che ancora la teneva per mano «se proprio vuole, l'accompagno a controllare». Un nuovo colpo sordo fece capitolare la ragazza che annuì lentamente. Con un sorriso, Goddfriegh l'affiancò e si diresse con lei verso il portone.«Potevo farcela da sola» sussurrò Euphemia senza guardarlo.«Certamente, signorina Phamie» acconsentì Goddfriegh «è stata molto gentile ad assecondare le mie ansie da vecchio».Nell'aspetto del signor Cavendish niente dava impressione di forza e autorità, solo la sua beffarda capacità di osservare il mondo, che lasciava intravedere un passato che gli aveva scalfito il cuore. Negli anni, l'uomo aveva imparato ad accettare ciò che gli offriva la vita: da una moglie che tutto poteva dirsi fuorché un angelo del focolare, a una ragazzina capricciosa da servire e istruire. Sapeva, però, che la vera beffa non era la sfortuna che sembrava perseguitarlo attraverso le donne della sua vita, quanto l'amore incondizionato che non poteva far a meno di provare per entrambe.  Arrivati all'ingresso, Euphemia appoggiò la mano alla superficie liscia del portone e provò a tendere l'orecchio per distinguere qualche rumore. Un colpo improvviso le fermò un battito del cuore, ma poi il silenzio tornò a rassicurarla.Goddfriegh le fece segno di allontanarsi e aprì la porta, ma quella si spalancò per l'impeto del vento che spense il fuoco della lampada. In balìa dei lampi, Euphemia sentì la pioggia sul volto, osservò l'arco libero della porta e con sollievo non vide nulla davanti a sé. Un'ombra nera le sfrecciò tra le gambe per poi sparire sotto la cortina di pioggia e prima che Euphemia potesse capire cosa mai fosse, un miagolio isterico le giunse alle orecchie.«No, Lucifero!» urlò Euphemia avanzando sotto la pioggia torrenziale. Il vento le spezzò il respiro nel petto. Riusciva a stento a vedere oltre il proprio naso, sentiva solo il miagolio insistente del gattino. Si concentrò per non dar retta ai richiami dei domestici e, quando non riuscì a sentire altro se non quel cupo richiamo, aprì gli occhi e sfidò la pioggia. In quella foschia di schizzi e zampilli scorse Lucifero miagolare disperato; lo avvolse  subito tra le braccia, ma l'animale continuava a divincolarsi e, quando fu di nuovo libero, corse via. Fu allora che Euphemia percepì un lamento. Come un eco, il gemito seguiva il richiamo di Lucifero. Poco lontana, un'ombra era distesa a terra.Intorpidita dal freddo, Euphemia esitò nel fare un altro passo ma, quando sentì ancora il singulto disperato, si protese con meno prudenza e sgranò gli occhi, riconoscendo in quell'ammasso fradicio le sembianze di un uomo.Urlò ai domestici di accorrere, mentre lei gli si inginocchiava. «Riesce a sentirmi?» domandò preoccupata, e prese la mano che l'uomo le aveva teso tra le sue. «Come si chiama?» ma l'uomo non rispose, ormai privo di sensi.Lo sguardo di Euphemia incrociò quello terrorizzato della signora Cavendish e quello più distaccato del marito, il quale, però, non riuscì a nasconderle l'ansia che gli contraeva i lineamenti del viso.Un forestiero era arrivato a Heathbridge Manor.
N.d.A.Uuuuuuhhh, arrivò il giorno. Ho modificato questa storia almeno quattro volte, non parliamo di questo capitolo, alla fine non riuscivo neanche più a leggerlo x3 alla fine, da raccontino si è trasformato in qualcosa di molto più lungo che mi accompagnerà per un po' qui nel blog e su EFP (venite a leggermi pure qui eh *-*), la trama, finalmente, è definitiva, forse mi conservo qualche riserva per il finale per vedere come si sviluppa nella pratica, ma comunque il 90% c'è, bisogna solo scrivere ;)Intanto Lies e nel forno anche lei x3
Infine, ma solo perché così rimane impresso: grazie, grazie, grazie a V.
Fatemi sapere cosa ne pensate :* Lilly

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