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3.Di voci e sussurri.
Sussurri irrequieti si affollavano nel pandemonio di immagini che agitavano la mente. Una voce sottile e roca sibilava con apprensione per tentare di azzittire quel brusio che, però, riprendeva poco dopo a tormentarlo. Il ragazzo dischiuse gli occhi impastati dalla stanchezza e pensò di liberarsi dal soffocante abbraccio delle coperte in cui si era svegliato. Quando non riuscì ad vincere la pesantezza degli arti, chiamò la signora Fresshire.La risposta al suo delirante richiamo fu una carezza che non poteva certo provenire dalla giunonica signora che gli aveva affittato la stanza.Un suono caldo e confortante placò ogni rumore. In quella melodia, percepì alcuni suoni senza comprenderli. Solo quando un volto si rivelò tra le tenaci foschie del sonno riuscì a distinguere una voce in quella vibrazione sonora. La ragazza mosse le labbra rosate con un lieve sorriso, poi la voce sgorgò come un canto.«Ben svegliato», disse la ragazza, sistemandogli le coperte. «Come si chiama?», domandò infine.Il giovane uomo tentò di articolare delle parole, ma quelle rimasero imprigionate nella gola.La foschia che gli appannava la vista gl'impediva di distinguere con precisione i lineamenti del volto, ma quella voce, ne era certo, non poteva che appartenere a una creatura del cielo.Jancen affondò la mano nel vuoto e l'angelo la strinse con gentilezza, sussurrandogli parole che tentava di comprendere, ma il peso che gli riempiva la testa lo stordiva fino a fargli sentire la nausea strangolargli lo stomaco.Il giovane sentì sul volto una carezza che alleviò il calore che lo soffocava, ma mai quanto la colata di acqua che gli rinfrescò la gola. Forte di quei deboli istanti di vitalità, Jancen strinse forte la mano del suo angelo e gracchiò: «Jancen... Jancen Mallorne», non appena ebbe pronunciato quelle parole, il ragazzo notò una luce animare gli occhi azzurri dell'angelo.«Benvenuto a Heathbridge Manor, signor Mallorne», gli sussurrò quello sorridendo.La freschezza dell'acqua, la luce del sole, o forse l'odore della pioggia che impregnava l'aria, l'uomo non capì quale elemento fosse stato a farlo tornare in sé ma, quando quella creatura celestiale si sedette sulla poltrona accanto al suo letto, comprese che non erano soli, lui e il suo angelo. Per niente.Almeno una ventina di domestici circondavano a distanza il sontuoso letto a baldacchino, tutti intenti a bisbigliare e a guardare nella sua direzione, uno nervoso, l'altro intimorito. Tra tutti, una donna se ne stava in disparte, a braccia conserte, intenta a guardare verso la porta. L'uomo che entrò nella stanza si fermò sull'uscio, scrutandolo con gli occhi chiari chiusi in due fessure.Ormai ben sveglio, anche il suo angelo si rivelò essere una semplice ragazza, eterea come le fanciulle che abitavano le tele dei Preraffaelliti, ma pur sempre solo una ragazza che continuava a guardarlo senza parlare, con solo un sorriso che le distendeva il volto sottile.«Andate», ordinò Euphemia con un battito delle mani. Lo sciame di domestici rispose subito al comando, tranne i coniugi Cavendish che aspettarono l'occhiata furente della loro diletta per decidersi a muovere un passo.«Siamo lieti della sua presenza», annunciò Goddfriegh senza che l'emozione gli incrinasse la voce, «qualsiasi suo desiderio, sarà un ordine».«G-grazie», biascicò Jancen, mentre un brivido gli percorse la schiena; si voltò verso Euphemia che era seduta sulla poltrona come una regina eppure, nella sua figura, Jancen scorgeva qualcosa di caotico che incrinava quell'alone di perfezione.«Signor Mallorne», cominciò Euphemia ed esitò di fissarlo negli occhi, fingendosi più attenta a lisciarsi il corpetto del vestito. «Come si sente?» «Credo... bene», rispose Jancen trattenendo un colpo di tosse, «la ringrazio per la sua ospitalità, signorina»«Heathbridge, Euphemia Heathbridge», rispose la ragazza con un guizzo nella voce, si alzò e si avvicinò a lui, «ma, se vuole, può chiamarmi Phamie, signor Mallorne», sussurrò con un sorriso educato.«Sarebbe un onore per me, signorina Phamie». Con un gesto inconscio, Jancen si tirò le coperte sul busto, come a proteggersi.«Soltanto Phamie, signor Mallorne», ridacchiò Euphemia puntando i gomiti sul letto e appoggiandosi sui dorsi delle mani intrecciate sotto al mento, per osservarlo affascinata.Il volto di Jancen avvampò. Il calore gli si concentrò sulle guance, mentre nel corpo sentì il freddo scorrergli nelle vene.«L-la ringrazio», balbettò «non credo di esserne degno, io...»La risata cristallina della ragazza lo bloccò. «Lei è mio ospite, signor Mallorne, è degno di ogni cosa», sussurrò con un battito di ciglia che fece seccare la gola all'uomo.«Sì, sign... Phamie», tossì meritandosi una nuova occhiata incuriosita. La mente ebbe un vuoto di coscienza di alcuni istanti. La febbre stava tornando a salire. «Io sono onorato della sua ospitalità. Credo che senza avrei vissuto una ben peggiore situazione al mio risveglio...».«Quando l'ho trovata nel piazzale era già svenuto», trillò Euphemia, «sarebbe morto senza di me», concluse con un sorriso sospirato.Il sopracciglio dell'uomo scattò in alto, disorientato. «Sì, la ringrazio di avermi... salvato».Nonostante quelle poche frasi superficiali, la conversazione stava diventando fin troppo surreale per lui, mentre la febbre tornava a soffocarlo. Con tutta la forza che la malattia gli concedeva, prese un profondo respiro e, stringendo le braccia della ragazza tra le mani, la allontanò dal letto, riuscì a combattere il senso di vuoto nella testa che stava per abbandonarlo.«Phamie,io non vorrei sembrarle ingrato», disse esausto, «ma non potrò godere della sua ospitalità quanto vorrei, questo mercoledì ho un importante appuntamento a Londra».«Londra!», ripeté ad alta voce Euphemia, mosse di scatto il corpo per tornare a una distanza più ravvicinata di prima, costringendo l'uomo a tirarsi indietro per non essere travolto dal suo corpo. Gli occhi di Phamie brillarono. «Lei abita a Londra!»Nel tentativo di allontanarsi il più possibile dalla ragazza, Jancen batté la nuca contro la testata del letto che lo tramortì impedendogli di mettere a fuoco la sua interlocutrice.«Mio fratello...», farfugliò tenendosi la testa, «io devo andare da mio fratello», farfugliò con l'ultimo residuo di coscienza. «Mercoledì...»«É passato» gorgheggiò la ragazza alzandosi e facendolo stendere, «lei è qui da due giorni, dieci ore e trentacinque minuti», e allungò la mano per scostargli i capelli dalla fronte.Turbato, l'uomo allontanò le mani di Euphemia con gesti convulsi. «Cosa?».«Ho controllato l'orologio quando si è svegliato», lo rassicurò, avvolgendolo tra le coperte. «Riposi adesso, signor Mallorne», tubò alla fine, «Quando starà meglio, mi racconterà tutto della sua vita».Jancen spalancò la bocca per parlare, ma la febbre gli chiuse la gola e il buio si spanse davanti i suoi occhi.Mentre lo guardava addormentarsi, Euphemia non riuscì a reprimere il sorriso. Il miagolio profondo e roco di Lucifero la chiamò. Alle sue spalle, il gatto la guardava con i penetranti occhi di giada spaccati a metà dalla sottile pupilla.Con leggeri baci, la ragazza lo invitò a seguirla fuori della stanza. Sulla parete, l'ombra dell'animale rimase immobile. Euphemia socchiuse gli occhi e si portò l'indice davanti alla bocca. La macchia nera si spanse tremando, per poi scorrere lungo la superficie, fino a fondersi con l'ombra della ragazza.La porta si chiuse con un leggero schiocco.
Nel buio, il suo primo pensiero fu che quella mattina doveva chiedere a William di intercedere per lui sulla questione del matrimonio. Detestava dover chiedere aiuto al fratello minore, ma lui era l'unico che sapeva come ammansire il padre.Sospirò e si distese nel letto allargando braccia e gambe, ma non sentì l'aria fresca della notte sugli arti.Doveva essere stata Charlotte a coprirlo...Sprofondò il volto in un tripudio di lenzuola che lo avviluppava quando vide l'enorme finestra che incorniciava il sorriso della luna.Il buio si diradò davanti ai suoi occhi, rivelando una stanza a lui sconosciuta. Focalizzò il profilo della lampada sul comodino e con lentezza sgusciò fuori dalle coperte. Il gelo che lo avvolse lo bloccò per alcuni istanti, ma riuscì comunque a sedersi per accendere il lume.La vita di Jancen Mallorne sarebbe stata segnata da molti eventi, ma mai nessuno avrebbe affondato i propri artigli nella sua memoria come il risveglio nella stanza dalle pareti rossastre.«Non era un sogno», sussurrò, mentre i ricordi cominciavano a strappare i veli della sonnolenza.Osservò la poltrona accanto al suo letto e il volto di Euphemia si fece largo nella confusione del momento.«Strana ragazza», sospirò con un sorriso divertito, mentre tirava le coperte sulle spalle e se le avvolgeva intorno al corpo, nel tentativo di alzarsi in piedi senza congelarsi. La bocca del camino era umida, provò a incendiare qualche striscia di carta ma non una fiammella riuscì a sopravvivere e trasformarsi in fuoco. Si strinse nelle coperte e tornò a sedersi sul letto, avvolse le mani attorno alla lampada ma non percepì alcun calore e allora lo sguardo si posò su un campanello che luccicava alla luce del lume. Cominciò a sventolarlo in aria. Il trillo si spense, ma nessuno rispose. Ripeté il gesto fin quando lo scampanio non gli assordò le orecchie, senza esito.La testa ricominciò a far male ma, in quel momento, era il freddo che riempiva la stanza a dargli pensieri. Con un sospiro avvilito, si trascinò alla porta e si affacciò nel corridoio. Un nuovo scampanellio spezzò il silenzio. «Scusatemi», disse ad alta voce nel vuoto, «avrei bisogno di aiuto». Fece qualche passo nel buio e andò ad affacciarsi a una delle finestre che costellavano la parete. Un leggera nebbia lievitava a mezz'aria, il freddo pungeva la pelle, e i vetri appannati non permettevano di scorgere il paesaggio esterno.Quando si era trovato sotto la tempesta aveva scorto il maniero in lontananza, ma non aveva fatto affidamento che fosse abitato. Era stata più la disperazione a portarlo lì che la speranza, e invece, ora era come se fosse tornato indietro nel tempo, in quelle roccaforti medievali abitate da cavalieri e principi che un tempo avevano infestavano gli studi della sua gioventù.Un'ombra tagliò lo specchio di luce alla fine del corridoio.«Mi scusi», si precipitò Jancen, «potrebbe aiutarmi?»L'ombra si dileguò e Jancen si ritrovò a rincorrere il nulla, fino a quando, sul ciglio di una scalinata, scorse di nuovo l'ombra, immobile.«Mi perdoni se l'ho fermata», continuò, «la mia stanza è molto fredda...», aveva fatto alcuni passi verso quella sagoma oscura, ma ancora non riusciva a distinguere le linee del corpo, anzi, non gli sembrava neanche che si stesse avvicinando. «Non vorrei disturbarla a quest'ora della notte, ma potrebbe accendere il camino?», continuò esitante, vedendo che dall'altra parte non giungeva alcuna reazione. «Forse lei non è uno dei domestici, mi voglia perdonare...».Detestava le situazioni, in cui non conosceva niente se non se stesso, detestava vagare in luoghi sconosciuti e, sopratutto, sopra ogni altra cosa, detestava essere ignorato.Piantò i piedi a terra ma, prima che potesse parlare, l'ombra ebbe un tremito. Jancen cercò di mettere a fuoco, ma il quel buio gli sembrò che quella sagoma si spandesse a dismisura davanti ai suoi occhi.Sentì una fitta pulsargli nel palmo delle mani e si accorse che stava stritolando le coperte, cercando di resistere al freddo che cresceva di intensità.«Signor Mallorne?»Il cuore di Jancen fu stretto da una morsa. Si girò verso il proprietario della voce e vide Euphemia che lo osservava incuriosita, avvolta in un lungo scialle di lana. La lanterna che portava con sé colorava il pallore del volto con le sfumature del fuoco.«Come mai in piedi?», gli domandò con lo sguardo che lo sondava in ogni dettaglio, «dovrebbe riposare».Jancen puntò il dito alle sue spalle. «Cos'è?»Un fremito contrasse gli occhi della ragazza anche se, quando parlò, nella sua voce nulla parve averla turbarta. «Cosa intende?» «Alle mie spalle?», rispose continuando a indicare, ma nello sguardo di Euphemia non vedeva altro che incomprensione. Indispettito, si voltò ma, della scena che aveva vissuto, non era rimasto nulla. «Dove sono le scale?», sussurrò.«Dall'altro lato del corridoio», gli spiegò la giovane, mentre appoggiava la lanterna sulla lunga libreria che costeggiava tutto il corridoio, al di sotto delle finestre.Jancen strizzò gli occhi più volte accorgendosi solo allora dei mobili e quadri comparsi ad arredare l'ambiente.«Le piacciono?», domandò Euphemia entusiasta, notando lo sguardo dell'uomo indugiare sul mobilio, «dicono che a Parigi vadano molto di moda, io volevo andare in città, ma la signora Cavendish non ha voluto lasciarmi andare», sbuffò infastidita, «però ho scelto io ogni pezzo», affermò con orgoglio, incrociando le braccia al petto.«Signorina», Jancen interruppe lo sproloquio di mobili e cataloghi che tanto sembravano stare a cuore alla ragazza, «forse è meglio per me tornare in camera», strascicò tentando di trovare il filo logico che legava quegli ultimi momenti.Le mani di Euphemia gli strinsero la sua, sorrise affabile e lo tirò con dolcezza per il corridoio buio. I capelli erano legati in una morbida acconciatura, ben lontana dai canoni dell'epoca. Il primo sguardo che aveva posato su di lei non l'aveva ingannato, seppur offuscato dalla febbre: guardarla era come osservare un quadro. Persa nel tempo, sembrava appartenere a un'epoca lontana, come la sua dimora. Davanti la porta della sua camera, Jancen rabbrividì.«Desidera altre coperte?», gli domandò Euphemia al suo fianco.«Potrebbe far accendere...?», la voce gli morì in gola. «Quando l'ha ripresa?», domandò sconvolto nell'indicare la lanterna nella mano della padrone di casa.Euphemia divagò con lo sguardo e alzò le spalle. «L'avevo con me, da prima»«No, lei l'ha poggiata sulla finestra», ricordò Jancen con gesti convulsi, «e poi mi ha accompagnato qui...».«L'ho portata con me», disse la ragazza, ma l'altro scosse la testa. «Signor Mallorne, la prego», tentò di calmarlo, prendendolo ancora per mano ma Jancen si scostò impaurito. Il dispiacere le sgranò gli occhi, ormai lucidi. «Cosa stava per dirmi?», s'informò senza guardarlo negli occhi e con la mano incerta si tirò l'angolo dell'occhio, per trattenere le lacrime.«Potrebbe far accendere il camino?», chiese l'uomo a denti stretti, la testa ormai girava a vuoto, il dolore era tale che sentiva il cuore battergli nelle tempie e ormai il fuoco della febbre gli infiammava le vene.«Non ho permesso che fosse spento», affermò la ragazza, lo superò con un passo deciso e aprì la porta permettendo all'uomo di osservare la camera riscaldata dalle luci del fuoco che scoppiettava nel camino.«É acceso ormai da tre giorni ininterrotti».Il sussurro esitante di Euphemia lo sorprese. La ragazza si tormentava le mani, correndo anche il rischio di rovesciarne l'olio sulla soffice gonna della camicia da notte; non c'erano più l'eccitazione o la spensieratezza che l'avevano animata fino a quel momento, ma solo insicurezza e timore.«Lei sta ancora delirando per la febbre», gli disse Euphemia e gli accarezzò il volto. «Se vuole altro, c'è un campanello sul suo comodino», continuò. «Lo suoni e arriverà un domestico a soddisfare ogni sua richiesta».Jancen annuì, passandosi il pollice e l'indice sugli occhi. «Non vorrei sembrarle ingrato», mostrò il campanellino nella mano, «purtroppo, non mi è stato utile questa sera», e lo suonò ancora.In un attimo, dei passi affrettati scalpitarono verso di loro e da dietro l'angolo arrivò un domestico in livrea che si presentò con un leggero inchino. «Il mio nome è Nicholas, signore, sono a sua completa disposizione». Dall'alto della sua rispettabile statura da pertica, il ragazzo aspettò di ricevere la richiesta per cui era accorso, ma Jancen, dopo essere rimasto a boccheggiare per alcuni momenti, si rinchiuse nella stanza, borbottando la buonanotte.«Va' pure», lo congedò Phamie con un elegante gesto della mano, «il signore si è sbagliato».Nicholas annuì e in silenzio si licenziò dalla sua presenza.Sola, Euphemia rimase a fissare la porta chiusa, oltre la quale Jancen con ogni probabilità stava tentando di addormentarsi con scarsi risultati. Si allontanò sfiorando la superficie con la punta delle dita.Un soffio di vento freddo le passò tra i capelli. Si fermò e pestò il piede a terra. Il vento si placò all'istante.Il Maniero era tornato silenzioso. La sconvolgente novità sembrava ormai una consuetudine quotidiana, come se l'ospite non fosse mai stato tale e, anzi, fosse sempre stato lì, a ricordare che c'era un mondo oltre quelle mura.Un mondo che, però, le era stato solo raccontato.
N.d.A.
Allora, cosa dire, sto scrivendo il 4 capitolo e già ho progettato il 5, pubblicando questo penso: "mammamia e che vi aspetta!"
Preparatevi ai fuochi d'artificio: non mi piacciono proprio i principi azzurri... Il fantasma, per ora, è l'ultimo dei problemi, anzi, è di compagnia xD
Annuncio, annuncio. Ho cominciato a scrivere una nuova storia. S'intitola Sanguinem Omen - Il Marchio del Diavolo, è una storia ambientata nel Medioevo, durante la guerra dei Cent'anni, con peste e streghe :)
Lui, è il mio amore.
Nihil Morte certium
Tom Hiddleston aka Dheath
«Tu, il più temuto. Il più odiato»
«Di quale fazione sei?»
«Dovresti saperlo oramai»
«Dillo!»
«Io ti amo»
Miss X a Dheath (non ve lo posso dire chi è lei, perché rivelo metà trama xD)
Il Marchio del Diavolo coming very soon, appena riesco a correggere gli orrori storici xD