Mi ha molto compito l'atteggiamento di Paolo Mieli, nell'ultima puntata di Servizio pubblico (qui i video): critico controil pm Antonio Ingroia per aver usato quel titolo, “Io so”, per il suo ultimo saggio sul periodo delle stragi del 1992-1993. La seconda repubblica frutto di un patto tra stato e mafia, la trattativa, patto per salvare la pelle ai politici ritenuti “traditori” dalla mafia dopo la sentenza del Maxi, patto necessario alla mafia (e non solo) per trovare nuovi referenti.
Quel titolo sta bene in bocca ad un poeta, accusava Mieli, ma non in bocca ad un magistrato che deve portare le prove. D'altronde, continuava il presidente di RCS, nemmeno Pasolini aveva le prove della colpevolezza della DC nelle stragi che hanno insanguinato gli anni '70.
Questo non è vero: nessuno accusa o ha mai accusato i vertici della Democrazia Cristiana di aver messo la bomba alla Banca dell'Agricoltura. Ma non è così lontano dalla verità dire le parole “Stragi di stato”, che hanno quasi indignato Mieli. Parte dello stato ha coperto, ha depistato, ha cercato, con le bombe, di cambiare gli assetti politici del paese, alla fine degli anni '60.
Andreotti sapeva. Prima ha protetto l'agente Z Guido Giannettini, del Sid, contatto con Ordine Nuovo, i bombaroli. Il più volte ministro Taviani sapeva, avendo deposto di fronte alla Commissione Stragi: “quel giorno non doveva morire nessuno”.
Sapeva forse Saragat, il presidente della Repubblica: si incontrò con Nixon nel febbraio 1969 dove quest'ultimo presentò a Saragat le sue preoccupazioni per l'avanzata delle sinistre. Gui, altro ministro DC, riferì in commissione monocamerale sulle stragi nel 1987, dell'incontro del 23 dicembre 1969 tra Moro e Saragat.
Moro rinunciò a denunciare le notizie sui tentativi di golpe di cui era in possesso (per i suoi contatti con l'arma), Saragat avrebbe rinunciato alla svolta autoritaria, appoggiata da parte dei servizi, dell'ambasciata americana, della destra eversiva ..
I servizi, e dunque i vertici istituzionali, sapevano che gli autori della strage non erano gli anarchici (come Pinelli e Valpreda).
È la teoria dei cerchi concentrici, spiegata dal collaboratore di Aldo Moro, Corrado Guerzoni.
“Per cerchi concentrici ognuno sa che cosa deve fare.Non è che l’onorevole X dice ai servizi segreti di recarsi in Piazza Fontana e mettere una bomba.Non accade così.Al livello più alto della stanza dei bottoni si afferma: il Paese va alla deriva, i comunisti finiranno per andare presto al potere.Poi la parola passa a quelli del cerchio successivo e inferiore dove si dice: sono tutti preoccupati, cosa possiamo fare?Si va avanti così fino all’ultimo livello, dove c’è qualcuno che dice “ va bene, ho capito ”.Poi succede quello che deve succedere.Una strage in una banca, in una stazione, in una piazza, sopra un treno.Oppure, come nel nostro caso, un omicidio di due ragazzini [si riferisce all'omicidio di Fausto e Iaio a Milano nel 1978].Così nessuno ha mai la responsabilità diretta.E se vai a dire all’onorevole X che lui è il mandante della strage di Piazza Fontana, ti risponderà di no.In realtà, è avvenuto questo processo per cerchi concentrici.
Il gip Salvini, nel libro di Gianni Barbacetto “Il grande vecchio”: «un preciso giudizio si è radicato comunque nelle carte dei processi. La strage di piazza Fontana non è un mistero senza padri, paradigma dell’insondabile o, peggio, evento attribuibile a piacimento a chiunque, che può essere dipinto con qualsiasi colore se ciò serve per qualche contingente polemica politica. La strage fu opera della destra eversiva, anello finale di una serie di cerchi concentrici uniti – come disse nel 1995 alla Commissione stragi Corrado Guerzoni, stretto collaboratore di Aldo Moro – se non da un progetto, almeno da un clima comune ».
Possiamo ancora difendere il partito dello scudo crociato tirando in ballo l'onere della prova? Oppure, anche solo mettendo i fatti, possiamo veramente dire “Io so”?