Magazine Diario personale

L'onta femminista

Da Anacronista
Niente, ormai è assodato. La parola femminismo suscita riprovazioni primordiali, sdegno viscerale, incomprensione cosmica, pregiudizio ontologico. "È brava, però è femminista". (Sì, tipo "È femmina, però è bella").
Ovunque sempre la stessa storia, con gente di tutte le estrazioni. Plurilaureati , masterizzati e non, proletari e capitalisti, sinistrorsi e destrorsi, uomini e donne di ogni risma, attivisti e poltronisti, tutti. Pronunciare quella parola e vedersi inchiodate addosso gli occhi torvi, increduli, disorientati e insofferenti dell'interlocutore/trice è praticamente lo stesso atto.  La mia reazione a questa reazione è schematizzabile come segue: - Insofferenza all'insofferenza. Respira, rifletti, confrontati: ok. - Vocazione missionaria. Cerco di spiegare in poche parole cos'è il femminismo (usando il plurale, necessariamente), secondo l'implicito assunto molto ingenuo e un po' platonico che "è perché non lo conosci che lo rifiuti". - Disillusione radicale del precedente assunto, spesso di fronte a una domanda assolutamente annichilente, del tipo: che te ne fai delle "bandiere"? perché vuoi la guerra tra i sessi scusa? perché "donne" e non "persone"? ecc.  - Illusione che sia possibile rispondere puntualmente e razionalmente alle suddette domande. Spiegare con argomenti si spera cogenti che non è una "bandiera", che non è la versione speculare, femminile, del maschilismo, che non è "una guerra tra i sessi", che non siamo neutre/i, ecc. - Constatazione realistica che il precedente tentativo ha rimbalzato, rimbalza e rimbalzerà contro un muro di gomma. - Vis polemica. Contestualizzo l'insofferenza e lo faccio presente. Dico: questa reazione molto comune si spiega con un tentativo di neutralizzare, disconoscendolo, il potenziale politico sovversivo del femminismo. Perché femminismo non è solo "femminismo", è un modo di radicale cambiamento della società e della cultura, di profonda sovversione delle gerarchie assodate di potere, interiorizzate e non. E quindi come tale va assolutamente banalizzato, delegittimato, ridicolizzato. C'è, cioè, una questione di potere dietro. - Cortocircuito. Tanto sforzo comunicativo è condannato a ripiombare su se stesso. Prendo atto che l'interlocutore/trice non ha la minima idea, ma soprattutto la minima curiosità di capire cosa sia questa strana entità ("femminismo"). E che non avendo alcuna curiosità, si ferma alla sua reazione di istintiva antipatia (che in realtà è culturale) e la rivendica come tale. Prendo atto dunque che da tale cortocircuito è impossibile uscire, per il banalissimo motivo che chi vuole confrontarsi/capire si confronta, chi non vuole confrontarsi/capire non si confronta. - Rassegnazione. Inutile, dannatamente inutile discutere. - Esito riflessivo. Forse per essere curiosi/e verso certe cose è necessario aver sperimentato l'ingiustizia. Se non la si è vissuta e sperimentata come tale, la natura di un discorso politico risulta incomprensibile. - Casa dolce casa. Le amiche e conoscenti femministe, con loro ci capiamo. Ma al di fuori del nostro recinto, non siamo capite, è impossibile comunicare. E questo è, ahinoi, un problema che ci riguarda direttamente. È, forse, IL problema. Il problema è che tutto questo ha effetti molto concreti; si va ben al di là della semplice disputatio informale. C'è qualcosa di profondamente politico dietro, e se non saranno un paio di conversazioni a cambiarlo, è innegabile che siamo di fronte a un sintomo di un'insofferenza più grande. L'insofferenza per la libertà femminile, io credo. - Esito riflessivo 2. È estremamente importante uscire dal proprio ambiente. Serve a capire tante, tante cose. Non solo in relazione al femminismo, ma in relazione proprio a tutto. È una palestra cognitivo-politica molto utile e interessante. Serve, fra l'altro, a relativizzare e contestualizzare; serve per una metariflessione sui linguaggi e sulle consapevolezze. Serve per rendersi conto, anche se l'effetto frustrante sembra compreso nel pacchetto.
Vorrei fare un'articolata riflessione sul tema, su cui c'è veramente tanto da dire, ma sono talmente annichilita dall'evidenza del rifiuto generale, che mi lascio sopraffare dalla stanchezza e vado a mettermi lo smalto.  
Ok. Temo che l'approvazione degli altri mi interessi sempre meno, ma soprattutto temo che sia quanto mai attuale e necessario (cioè anacronistico) portare avanti certe teorie/pratiche che non piacciono a nessuno. E che il fatto che non piacciano sia estremamente significativo, un qualcosa con cui misurarsi politicamente, evitando le polemiche e le provocazioni come la scabbia, al contempo evitando, però, di chiudersi in una specie di elitarismo cognitivo-politico.
 [Il mio problema è che sono piena di onte (filosofia, maternità precoce, terrona, ecc). Ci fosse una tessera al supermercato, con i miei bollini-svantaggio avrei certamente vinto un borsone].  - Esito riflessivo 3. Naturalmente, alla luce di quanto detto, questo post è completamente inutile. Perché chi lo sa già - le femministe - non ha bisogno di saperlo, chi non lo sa non ha nessuna intenzione di saperlo. Ergo, mi rimetto l'armatura da Don Chisciotte, arrivederci e grazie.
PS: al proposito, articoli come questo sono una boccata d'aria fresca

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