L’altro giorno ho fatto un’esperienza per me inedita: sono andata al Teatro Real a vedere l’OPERA, cioè più precisamente una semi-opera, in quanto nella rappresentazione alcune scene erano parlate, altre cantate.
Io, che ogni giorno cerco un nuovo motivo per vivere e viaggiare a Madrid, solo adesso, dopo anni e anni che vivo in questa straordinaria città, mi sono accorta che il Teatro Real è di per se un ottimo motivo per visitare la città: San Isidro perdonami!
La costruzione del Teatro Real rimonta al 1830, quando il re Fernando VII volle rimodellare la Plaza de Oriente e dotare Madrid di un grande teatro dell’opera, come tutte le altri grandi capitali europee. Il teatro si trova proprio di fronte al Palacio Real, un uno degli angoli più belli e fotografati della nostra grande città, un luogo così magnifico che da solo costituisce un ottimo motivo per rendere un volo per Madrid
Tra edifici meravigliosi, giardini e fontane qui si trova anche la statua di Felipe IV a cavallo, opera del nostro connazionale Pietro Tacca e considerata la prima statua equestre del mondo che si sorregge unicamente sulle zampe posteriori del cavallo!
Il progetto del teatro passò nelle mani di vari architetti fino al 19 novembre 1850, data in cui il Real fu inaugurato con l’opera La favorita del nostro connazionale Gaetano Donizetti. L’ultimo rimodellamento fu fatto tra il 1991 e il 1997, e in questa occasione l’edificio fu dotato di sale di conferenza, zone di esposizione, un camerino collettivo per 324 persone, undici camerini individuali, una sala prove di più di 1472 metri quadrati e 3485 metri quadri di magazzini e laboratori.
Questi numeri sono una delle cose magiche del Teatro Real, che a guardarlo da fuori sembra piccolo piccolo e insignificante, e invece quando entri dentro le sale non finiscono più. Lo so bene io che durante la pausa dell’opera sono scappata tra le sale, fotografando tutto quello che mi capitava a tiro: il Teatro Real non finisce mai, e tra sale, saloni, corridoi, ristoranti, bar, bagni, lampadari, scale, porte e stanze chiuse ritrovare la strada per tornare alla propria poltrona è davvero un’impresa difficile e dura.
Ma adesso torniamo alla mia prima volta: The Indian Queen di Henry Purcell. Sinceramente quando, una volta seduta, ho letto il libretto e mi sono resa conto che la rappresentazione durava più di 3 ore e mezza ho avuto un mancamento, ma (inutile a dirsi) alla fine queste 3 ore e mezza sono state piacevolissime.
L’opera parla di un conflitto immaginario (immaginario?) tra gli indiani d’America e gli spagnoli, e dell’amore immaginario (immaginario?) tra la regina messicana e il capo dei conquistatori spagnoli. Mai la parola “immaginario” generò tanto scetticismo in me, perché nella rappresentazione io vedevo chiaramente la storia della giovane Malinche, l’indigena che accompagno Hernán Cortés alla conquista dell’impero Azteca.
Però il libretto dell’opera diceva che la storia è immaginaria, e allora quello che penso è l’opera originale di Purcell rappresentava il conflitto tra aztechi e incas (che era immaginario), ma questa nuova versione di Peter Sellars, riadattata al conflitto azteco-spagnolo, indica proprio la storia di Malinche. La cosa più sorprendente dell’opera sono state le scenografie, e dopo le scenografie sono piacevolmente obbligata a citare Don Pedro Alvarado, impersonato da Noah Stewart, un bel maschione che subito ti fará ritornare il sorriso, mia cara amica italiana che vuoi venire a vivere a Madrid!
Quello che posso dire ancora una volta è che tra danza, arte e architettura c’è la pace, ma non la pace della mente, ma la pace dell’anima.