Magazine Cultura

L'Originale e Rolf Lislevand parte seconda

Creato il 03 maggio 2010 da Empedocle70

L'Originale e Rolf Lislevand parte seconda di Empedocle70
Interpretare una musica già esistente vuol dire collocarsi in un preciso momento nella storia. E improvvisare su un preciso materiale storico significa ricominciare, ripartire da quello che si immagina sia stato suonato per ultimo in quel periodo storico. Questo comporta non solo il “semplice assemblaggio” di tutto ciò che si conosce sia già stato suonato ma l’aggiunta di nuovo materiale musicale, facendo fare alla musica, una musica vecchia di secoli, nuovi passi avanti sulla “scala biologica” della sua evoluzione temporale. Dopo tutto, una delle definizioni più usate di improvvisazione è composizione istantanea e spontanea. Riprodurre sempre le stesse interpretazioni, suonare sempre nello stesso modo, comporta semplicemente più il desiderio di una mera replica delle performance del passato piuttosto che creare un’interpretazione nuova e inedita.
Uno dei problemi fondamentali che accompagna questo processo creativo è il fatto che nel corso del tempo questa tradizione, queste competenze musicali si sono perse, smarrite. Solo di recente si è assistito a un deciso processo di recupero, nel frattempo, nel corso di questi secoli l'uomo ha continuato a inventare e riprodurre musica. E questa musica è parte del linguaggio che qualsiasi musicista del XXI secolo usa per esprimere se stesso: l’esperienza e una precisa formazione musicale in uno stile molto specifico possono aggiungere nuovi mezzi espressivi, ma non potranno mai sostituire la sua educazione musicale. In parole povere: non potranno mai fargli dimenticare la ninna nanna che sua madre cantava per lui, o le canzoni ascoltate con gli amici nelle notti d'estate.
C’è poi un’altra considerazione da fare: la musica, tute le musiche, sono legate in modo indissolubile allo spazio in cui vengono eseguite: lo spazio in cui il suono si pone è come la superficie su cui viene dipinto un quadro, è la tela da cui emerge un’immagine, o il tempo e lo spazio fra l'inizio e la fine di un movimento di danza.
L'intimità del suono è la prima condizione per la trasmissione di emozioni musicali, e ogni periodo storico ottiene questa intimità a modo suo: la società del XVII secolo in Italia riservava questa esperienza solo a un gruppo selezionato di persone, e quindi era più semplice avere il pieno controllo delle condizioni in cui la musica veniva eseguita e ascoltata. Oggi, inevitabilmente, questo spazio fisico dedicato specificatamente per il suono della musica del XVII secolo, non esiste più, nemmeno nel palazzo meglio conservato in Italia. Il nostro spazio fisico per questa musica è di natura virtuale, una creazione della moderna tecnologia, fino a quando almeno si ascolta musica registrata.
Nella nostra epoca possiamo riprodurre queste condizioni ideali attraverso la tecnologia, che ci permette di condividere questa esperienza con gli altri membri della società. In ogni caso la musica si evolve nelle sue condizioni sociali: le “nuove musiche” del XVII secolo dimostrarono un’attenzione incredibile verso fattori come lo spazio e il colore, creando una nuova concezione del rapporto tra tempo e informazioni, e una semplicità di struttura e di architettura musicale che ha permesso di trasmettere affetti e sentimenti musicali direttamente tramite il linguaggi delle emozioni, senza dover passare attraverso la mente razionale. Anche la “nuova musica” che viene eseguita e registrata oggi emerge per mezzo di una procedura molto barocca e cambiando e rinnovandone l'estetica cambiano le proporzioni dell'opera d'arte.
Leonardo Da Vinci scrisse nel suo Trattato della pittura che: “la pittura eccelle e signoreggia la musicaperchè essa non muore immediate dopo la sua creazione, come fa la sventurata musica […] … la musica, che si va consumando mentre ch’ella nasce, è men degna della pittura, che con vetri si fa eterna.”. Gli possiamo rispondere con le parole di Andrè Breton: “l’opera d’arte ha valore soltanto in quanto sia traversata dai riflessi del futuro.”
Messer Leonardo, è vero, la sostanza della musica è effimera, eterea e intangibile come i suoni che la compongono, ma cosa è meglio: il triste pellegrinaggio delle folle in tripla fila che scorrono mute davanti alla teca di vetro antiproiettile che costudisce la sua Mona Lisa al Louvre di Parigi o il miracolo di un’arte che rinasce nuova, viva, attuale a ogni esecuzione, a ogni registrazione? E’ meglio qualcosa di unico che emerge dalla profondità dei secoli e che deve essere “conservato” in teche di cristallo sottovuoto in quanto Originale unico e irripetibile, o la magia di qualcosa che come l’Araba Fenice, rinasce e si rigenera ogni volta? continua domani


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :