Anna Lombroso per il Simplicissimus
C’era un comico, anni fa, che concludeva il suo personale tg con l’informazione ecologica: ambiente, niente, diceva profetico. E infatti sembra essere un tema espulso dall’agenda politica e dei media e che a volte rientra solo sotto forma di problema ingovernabile, di emergenza inaffrontabile, di catastrofe prevedibile ma intrattabile.
Adesso poi l’eclissi dell’ambiente è resa ancora più buia da un altro fantasma del governo Letta, quell’Orlando che avremmo voluto furioso nella difesa di risorse e territorio, ma che invece si mostra solo innamorato di ruolo e poltrona, definito al momento dell’incarico da alcuni commentatori “ragazzo sveglio”, mentre invece sembra affetto da letargia decisionale, noto per essere un giovane turco, quando al contrario dei giovani e anziani di Istanbul è renitente a scendere in una qualsiasi piazza per difendere parchi e paesaggi.
Crogiolandosi nella scomoda nicchia di una pesante eredità di crisi e catastrofi incancrenite, diventata comoda così permette la pensosa inazione, il ministro dell’ambiente per caso, come un turista proveniente dall’interesse se non dalla competenza monotematica per i temi della giustizia, fin dagli esordi ha dimenticato l’antica passione escludendo dal suo carnet la lotta alle ecomafie e all’illegalità che prospera, esplicita o sotterranea tramite appalti truccati dai soliti bari, cementificatori anche di stato, condoni, licenze, semplificazioni, agevolazioni, snellimenti.
Più silenzioso del collega Bray, rimpallandosi con lui competenze e aree di interesse, relega nel dimenticatoio della crisi – quello favorito dalla mancanza di fondi, dai troppi buchi del passato, dai molti tagli sopportati virilmente senza lamentele e tanto meno dimissioni – quelle azioni che davvero potrebbero rendere praticabile la piccola utopia dello sviluppo sostenibile, azioni di salvaguardia, protezione, tutela e valorizzazione del territorio promosse dallo Stato-manager per favorire difesa, crescita e occupazione qualificata, arretrate a trite e stanche parole d’ordine nel tubolario retorico della green economy, insomma in quella paccottiglia gergale e bipartisan dei modernisti contemporanei: smart city, il paesaggio è il nostro petrolio, ambientiamo l’industria e così via.
Ma intanto la Costa Crociere sta là reclinata su un fianco come un perenne monumento a incompetenza e impotenza. Resta là anche l’Ilva, mentre la gente muore preferendo veleni e malattia alla disoccupazione e alla miseria, però apprendiamo che il ministro ha avuto un cordiale colloquio con il vescovo di Taranto. Le navi continuano a rasentare Piazza San Marco. Il dissesto idrogeologico che non ha bisogno nemmeno di aspettare l’inverno per portare rovina e morti? La soluzione è quella di tradizione: istituire una commissione tecnico-politica. E non si alza nemmeno un bisbiglio a proposito dell’empio proposito del presidente della giunta di centro destra che governa la Sardegna di fare del mattone il caposaldo della sua rielezione, in procinto ai primi di ottobre di proporre in consiglio le proposte di modifica del Piano paesaggistico regionale (Ppr) varato nel 2004 dall’esecutivo guidato da Renato Soru. Già anticipate e quindi note, sufficienti a rendere esplicito l’intento di azzerare le misure di tutela che per quasi dieci anni hanno messo a riparo la Sardegna dagli appetiti degli speculatori immobiliari e degli impresari edili. L’altro impegno elettorale di Cappellacci consiste nella proposta di fare della Sardegna un’unica zona franca, con lo scopo di garantire alle industrie già presenti sul territorio e a quelle che nell’isola vorranno investire, consistenti riduzioni fiscali.
A volte ritornano, anzi ritornano sempre e indisturbati se un altrettanto pudico e schivo riserbo è stato riservato al sequel della oscena proposta di legge di Lupi del 2008, il nuovo Ddl sul «Contenimento dell’uso di suolo e rigenerazione urbana», un bel titolo dietro al quale si vuol consumare “un patto scellerato fra guardie e ladri di territorio”, attribuendo al suolo una mera vocazione edificatoria, senza la minima attenzione per la tutela del paesaggio, l’agricoltura, l’assetto idrogeologico. Un atto regressivo rispetto al ddl Catania che ci tocca rimpiangere e che pur riprendendo i dati terrificanti (Istat, Ispra, Wwf) sul consumo di suolo in Italia, rilancia i temi cari a Lupi, ostinato nella cieca fedeltà al suo leader come a principi irrinunciabili: «diritti edificatori generati dalla perequazione urbanistica », commerciabili senza limiti, nonché incrementati da ulteriori “premialità, compensazioni e incentivazioni”, e che i Comuni, in cambio di aree per l’edilizia sociale, possano attribuire ai privati ulteriori «quote di edificabilità», per giunta trasferibili a piacere, perfino fuori Comune.
Il Ministro Orlando dirà che è affare di Bray, Bray dirà che il territorio è tema per Orlando. Il fatto è che tutti i ministri di questo governo incapace e iniquo ci mette davanti allo stesso degrado del paesaggio italiano, dello stesso oltraggio alla legalità, alla giustizia e all’equità, che manifestino contro i magistrati, che svendano arte e suolo, che legittimino corrotti, corruttori, abusi. Tutti pronti a assoggettarsi entusiasticamente agli stessi padroni, Riva, Berlusconi, azionariato Fiat, Aga Kahn, signori del cemento, delle scarpe e del mare, tutti motivati a togliere a noi per aggiungere da loro, espropriandoci di tutti diritti, compreso quello all’ambiente, per farne loro inattaccabili e inviolabili privilegi.