Jessy e Celine sono ancora lì, nove anni fa si sono ritrovati e nove anni dopo sono ancora (e finalmente) insieme. Noi siamo con loro, non possiamo fare altro, e se mai ce ne fosse importato qualcosa, di Jessy e Celine, siamo sollevati all’idea che le cose tra loro siano durate. Al terzo capitolo, come se non ci si fosse mai lasciati, ci ritroviamo a ricordare i trascorsi, a goderci il presente, a ipotizzare un futuro. Before Midnight è tutto ciò che una commedia non può e non deve essere: il racconto dell’orribile verità che contraddistingue l’amore e che giustamente a Hollywood, nei tempi andati e sempre rimpianti, nessuno si sognava di mettere in scena con una commedia. L’amore è una cosa troppo noiosa per raccontarla con una commedia, a pensarci bene ha poco a fare pure con il cinema e con i desideri degli spettatori. La prospettiva dell’amore, il desiderio dell’amore, quelli sì. Ma l’amore vissuto, no. L’amore vissuto, come Linklater dimostra di sapere fin da Prima del tramonto, va oltre il genere, oltre la narrazione, e appartiene piuttosto a un limbo indistinto dove il senso di realtà influenza ogni sensazione e dove la familiarità tra i personaggi e lo spettatore conta più di qualsiasi aspetto formale del cinema stesso. E infatti Before Midnight rinuncia a qualsiasi tipo di costruzione che non riguardi ciò che succede dentro l’inquadratura e non coinvolga i soggetti dell’amore stesso, i corpi e soprattutto le teste parlanti dei due innamorati, accettando il peso (e noi con lui) di un’ambientazione mediterranea da ufficio turistico, di una musichetta da filmino delle vacanze e di stacchi di montaggio che nemmeno Don Matteo. Questa volta a contare sono lo snodarsi sullo schermo della dolorosa banalità della relazione, l’interazione naturale tra i due attori, e soprattutto la normale eccezionalità della loro esperienza. Un miracolo, quello cioè di un amore osservato nel suo aspetto veritiero, che solo il cinema può mettere in scena, avendo dalla sua il tempo e i corpi. Before Midnight realizza così il sogno di una finzione che dura il termpo di una vita e di un cinema che può vivere oltre se stesso, ricominciando ogni volta non da capo, ma un poco più avanti della volta precedente, nove anni fa con il ritrovamento dopo l’abbandono e ora con la normalità del quotidiano. Non c’è bisogno di raccontare nulla, se non la dinamica di una coppia che gestisce la propria vita come milioni di altre e proprio per questo, per essere credibile, non può e non deve separarsi. Altrimenti, addio alla credibilita’ e al sogno. Addio, soprattutto, a quello stato di grazia dove il desiderio incontra il senso di realta’, unendo su un solo piano il massimo della finzione con il massimo della banalità.
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Jessy e Celine sono ancora lì, nove anni fa si sono ritrovati e nove anni dopo sono ancora (e finalmente) insieme. Noi siamo con loro, non possiamo fare altro, e se mai ce ne fosse importato qualcosa, di Jessy e Celine, siamo sollevati all’idea che le cose tra loro siano durate. Al terzo capitolo, come se non ci si fosse mai lasciati, ci ritroviamo a ricordare i trascorsi, a goderci il presente, a ipotizzare un futuro. Before Midnight è tutto ciò che una commedia non può e non deve essere: il racconto dell’orribile verità che contraddistingue l’amore e che giustamente a Hollywood, nei tempi andati e sempre rimpianti, nessuno si sognava di mettere in scena con una commedia. L’amore è una cosa troppo noiosa per raccontarla con una commedia, a pensarci bene ha poco a fare pure con il cinema e con i desideri degli spettatori. La prospettiva dell’amore, il desiderio dell’amore, quelli sì. Ma l’amore vissuto, no. L’amore vissuto, come Linklater dimostra di sapere fin da Prima del tramonto, va oltre il genere, oltre la narrazione, e appartiene piuttosto a un limbo indistinto dove il senso di realtà influenza ogni sensazione e dove la familiarità tra i personaggi e lo spettatore conta più di qualsiasi aspetto formale del cinema stesso. E infatti Before Midnight rinuncia a qualsiasi tipo di costruzione che non riguardi ciò che succede dentro l’inquadratura e non coinvolga i soggetti dell’amore stesso, i corpi e soprattutto le teste parlanti dei due innamorati, accettando il peso (e noi con lui) di un’ambientazione mediterranea da ufficio turistico, di una musichetta da filmino delle vacanze e di stacchi di montaggio che nemmeno Don Matteo. Questa volta a contare sono lo snodarsi sullo schermo della dolorosa banalità della relazione, l’interazione naturale tra i due attori, e soprattutto la normale eccezionalità della loro esperienza. Un miracolo, quello cioè di un amore osservato nel suo aspetto veritiero, che solo il cinema può mettere in scena, avendo dalla sua il tempo e i corpi. Before Midnight realizza così il sogno di una finzione che dura il termpo di una vita e di un cinema che può vivere oltre se stesso, ricominciando ogni volta non da capo, ma un poco più avanti della volta precedente, nove anni fa con il ritrovamento dopo l’abbandono e ora con la normalità del quotidiano. Non c’è bisogno di raccontare nulla, se non la dinamica di una coppia che gestisce la propria vita come milioni di altre e proprio per questo, per essere credibile, non può e non deve separarsi. Altrimenti, addio alla credibilita’ e al sogno. Addio, soprattutto, a quello stato di grazia dove il desiderio incontra il senso di realta’, unendo su un solo piano il massimo della finzione con il massimo della banalità.
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