C’è un certo sistema giornalistico che specula sul dolore degli altri come gli sciacalli che si riversano nelle case abbandonate dei terremotati. Nella diversità degli eventi, volontario il primo catastrofico il secondo, c’è una certa sinergia di atteggiamenti.
Intervistare il fidanzatino di Melissa Bassi, la sedicenne uccisa pare dal gesto di un folle mitomane, sa di pettegolezzo forzato, per essere garbati, aggravato da un’avara ricerca della notizia per fare audience.
Ci sono momenti in cui il dolore deve essere rispettato e lasciato alla riservatezza delle persone, lontano da sguardi indiscreti e scrutanti.
Il buon senso deve prevalere sul diritto tele-giornalistico.
Informare su notizie che di fatto non aggiungono altro se non un degenerata ossessione nel guardare il dolore altrui, non serve a niente e a nessuno.
La spettacolarizzazione del dolore è un’intromissione nell’intimità delle persone.
Giornalisti avari, lasciate che il dolore si vesta del meritevole tepore privato.
Ciao Melissa.