LA TRENTOTTESIMA legge ad personam appena varata dalla Camera è l’espediente giuridico per un imputato eccellente, ma anche il ricostituente politico per un centrodestra agonizzante. Rianimato dall’atto di forza imposto al Parlamento, il presidente del Consiglio può rilanciare la fase che gli è più congeniale: quella del berlusconismo “da combattimento”.
Non basta il via libera sulla prescrizione breve che lo può salvare dal processo Mills, ottenuto da un’aula di Montecitorio militarizzata dai capigruppo forzaleghisti e svilita dalla compravendita dei “responsabili”. Non basta il dissennato disegno di legge sul “processo lungo” che lo può proteggere dalle sentenze su Ruby, Mediaset e Mediatrade, e che nel frattempo i “volonterosi carnefici” del premier stanno portando avanti al Senato con sprezzo assoluto dell’armonia ordinamentale e dell’economia processuale. Non basta la falsa “riforma epocale della giustizia” che il Guardasigilli Alfano gli ha confezionato, per punire i magistrati, per ingannare l’opposizione politica e per distrarre l’opinione pubblica. Il premier annuncia già la prossima battaglia. Vuole anche la legge-bavaglio, cioè la norma che limita drasticamente l’uso delle intercettazioni.
Non c’è limite a questa offensiva di primavera che ci accompagnerà fino alle prossime elezioni amministrative, tra un Parlamento trasformato nella Fortezza Bastiani del deserto dei tartari e un Tribunale di Milano trasformato nel palcoscenico di un predellino permanente. Berlusconi combatte perché vuole durare. Per questo non fa prigionieri.
Il premier non ha più dalla sua la politica: il governo non esiste, su nessuno dei fronti caldi della fase. Si alternano solo confusione e improvvisazione, dall’emergenza dei profughi all’esigenza delle riforme, dalla politica estera alla politica economica. L’unica “missione” visibile è la stessa da ormai diciassette anni: salvare il soldato Silvio dai suoi guai giudiziari. Per questo il capo del governo non esita a portare l’attacco al cuore dello Stato, delle istituzioni di garanzia, dei giudici.
Ma il premier ha ancora dalla sua l’aritmetica: la maggioranza è inchiodata a quota 314, lo stesso numero con il quale riuscì a respingere la mozione di sfiducia contro il governo presentata dai futuristi finiani il 14 dicembre e quella contro l’ex ministro Bondi presentata dal Pd il 26 gennaio. La fatidica quota 330, più volte evocata, resta una chimera. La coalizione è sfibrata dalla sua inettitudine operativa e lacerata dalle cene di corrente. Ma resiste, nonostante tutto. Nella sua metà campo, conta sulla precettazione forzata di ministri e sottosegretari. Nel campo avverso, si giova della defezione segreta dei franchi tiratori.
“Forte” della sua inconsistenza politica e della sua sufficienza numerica, Berlusconi non si rassegna al suo declino. E va fino in fondo, nel suo disegno di destrutturazione del sistema e di costituzionalizzazione della sua anomalia. La prescrizione breve è solo l’ultimo dei tanti, salatissimi “prezzi” che fa pagare agli italiani, per proteggere se stesso. Ma su questa ennesima legge-vergogna, o “amnistia permanente” secondo la definizione delll’Anm, sono ora accesi i riflettori del Quirinale. Le parole che il presidente della Repubblica ha pronunciato ieri, da Praga, sono chiarissime: “Valuterò i termini di questa questione quando saremo vicini all’approvazione definitiva in Parlamento”. In quel “valuterò” non c’è l’annuncio di un’iniziativa specifica e preventiva sul disegno di legge che ora passa all’esame del Senato: né una bocciatura anticipata, né una moral suasion riservata. Napolitano si limita ad avvisare governo e maggioranza che esaminerà con particolare attenzione i contenuti ordinamentali e i profili costituzionali del testo, come prevedono le prerogative che l’articolo 87 della Carta del ’48 gli riserva in materia di promulgazione delle leggi.
Il capo dello Stato, prima di firmare quel provvedimento, valuterà a fondo i suoi effetti. Avrà un precedente giuridico importante, sul quale parametrare la legittimità dell’attuale prescrizione breve: la legge ex Cirielli varata nel 2005 dallo stesso governo Berlusconi, che ridusse i termini della prescrizione con effetti retroattivi su tutti i processi pendenti, compresi quelli in Cassazione. Altra norma ad personam: allora per il Cavaliere c’erano in ballo i processi “toghe sporche”, Sme e Imi-Sir. Altra forzatura delle regole: allora vi si opposero prima il presidente della Repubblica Ciampi (che pretese correzioni al testo in corso d’opera) e poi la Corte costituzionale (che giudicò parzialmente illegittima la legge). Oggi il precedente della ex Cirielli (che ha molte analogie con il caso del ddl Paniz) potrebbe avere un peso assai rilevante, nelle valutazioni di Napolitano. Il Quirinale, opportunamente, ha smesso da tempo di usare lo strumento della moral suasion, che presuppone la “leale collaborazione” tra le istituzioni.
Nei prossimi giorni tutto è dunque possibile. Il capo dello Stato saprà decidere per il meglio, come ha sempre fatto in questi anni difficili di “coabitazione all’italiana” con Berlusconi. Napolitano saprà come difendere i principi dello Stato di diritto, di fronte ai colpi di quello che i suoi cantori si ostinano a chiamare, simpaticamente, “il giocoliere galante”, per occultarne la spinta destabilizzante. Si può “giocare” con tutto, ma non con la Costituzione della Repubblica italiana
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