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Se avessi ancora avuto dei dubbi su ciò che mi aspettava sarebbero comunque bastati i primi 10 minuti di visione per dissiparli. Quel dialogo in bianco e nero, quell'Auteil che barcollante si alza dal suo posto e dirotta il pullman, quel flash back (fil rouge dell'intero film) che lo assilla, c'è puzza di grande cinema in ogni fotogramma.
Ci troviamo davanti a un film certamente non perfetto,una pellicola senz'altro debitrice in molte sequenze di un certo cinema di genere, una sceneggiatura sì ottima ma che a livello puramente narrativo sembra avere almeno un difetto (che vedremo poi).
Però che film ragazzi...
In una Marsiglia sporca e peccaminosa si mischiano almeno tre vicende. Quella privata di Louis Schneider, poliziotto investigativo la cui vita è stata letteralmente devastata da un terribile incidente stradale, quella di Justine terrorizzata dalla possibile uscita di galera del killer che sterminò in maniera quasi inumana la sua famiglia, e quella generale, colonna portante del film, sulle indagini di nuovi atroci delitti di un serial killer che violenta e uccide senza la minima pietà le sue vittime.
Forse è da individuare proprio qua l'unica possibile debolezza di Mr 73 (titolo originale, dal modello della pistola in dotazione quegli anni nella Polizia Francese), ossia nella non perfetta coesione o legame di questi tre (o almeno due) diversi filoni narrativi. Non abbiamo cioè un'escamotage alla Silenzio degli innocenti in cui lo straordinario rapporto Starling-Lecter era sempre unito più o meno sottilmente alle vicende di Buffalo Bill. Qua più volte ci chiediamo quale sia in realtà la vicenda principale e se mai queste diverse situazioni andranno a collimare ad un certo punto.
Trait d'union rimane comunque il personaggio di Louis, un Auteil come sempre strepitoso, poliziotto senza niente cui più chiedere alla vita, un uomo che si sta solamente facendo trascinare verso il baratro. Il suo sguardo nel vuoto, quegli occhiali rossi, la puzza di birra e sporco che quasi esce dallo schermo, un vero e proprio relitto umano che cerca per l'ultima volta di fare il suo lavoro. Non è facile però cercare di fare il proprio lavoro in mezzo ad una polizia criminale così corrotta e sordida (grandi gli attori, specialmente la Marchal, moglie del regista) e non è un caso che lo spietato e splendido finale non sia solo il punto estremo di un tremendo mal di vivere personale ma riguardi anche un paio di regolamenti di conti in tal senso.
Il ritmo è teso, specie perchè il film trasuda cattiveria dapertutto, nei terribili omicidi del serial killer (il primo corpo ritrovato è straordinario in questo senso); nella vicenda di Justine -la bellissima Olivia Bonamy, la ragazza del capolavoro di genere Them- e del massacro che segnò la sua infanzia nel personaggio interpretato da Philippe Nahon, l'indimenticabile protagonista di Seul contre tous; nei flash back -in un bianco e nero maestoso- di Louis; nell'assoluta mancanza di speranza e di gioia nell'esistenza dello stesso protagonista.
Non mancano (rarissimi) momenti di stanca ma anche qua ci troviamo davanti all'ennesimo polar francese di livello eccellente. Strepitosa la sequenza al buio naturale di Justine che stende i panni.
Il finale, come accennato sopra, è caratterizzato da una luce nerissima, tanto bello e coinvolgente quanto terribile e devastante.
Un montaggio alternato di rara efficacia con un solo, grande, significato.
In mezzo a tutta la disperazione, la disillusione, la morte, lo schifo e la cattiveria che pervadono il film dall'inizio alla fine può comunque nascere qualcosa di bello.
Pochi secondi, pochi fotogrammi di gioia e speranza in un film che non ne conosce minimamente il significato.
( voto 8 )
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