Opera fondamentale, di assoluto culto, fortemente rappresentativa dei topoi che resero celebre il filone dell’erosvastika, anche conosciuto sotto la fuorviante demoninazione di nazi-porno: torture estreme e bizzarre, abbondante erotismo ed una rappresentazione alquanto folkloristica delle truppe nazionalsocialiste. Con un dovuto distinguo, perchè il milanese Canevari tenta – riuscendovi tuttavia solo in parte – di guardare persino agli inarrivabili Salon Kitty (1975) ed Il portiere di notte (1974), soprattutto nella coraggiosa ricerca di un’introspezione psicologica dei personaggi principali, che ne spieghi la follia e l’apparente disumanità.
“Lise, una ragazza ebrea, giunge il 26 luglio 1943 al lieben camp insieme ad altre giovani destinate al piaceri del soldati nazisti. Il campo è dominato dalle figure del comandante Konrad e della kapò Wagma. Entrambi, colpiti da Lise, che vorrebbe morire, si sforzano di piegarla al dolore e alla disperazione. Konrad finisce per innamorarsi. Lise cede alle pressioni del comandante e gli dà un figlio che viene ucciso. Molti anni dopo quando Konrad esce dalla prigione, Lise lo invita nuovamente al campo…”
Il prologo è davvero dei peggiori: voci fuori campo, inutili prolissità che fanno pensare a soluzioni per guadagnare metraggio, una moderna fornace dissestata nei pressi del lago D’Iseo (secondo altri vicino Bollate) fatta passare per ex lager nazista. Inaspettatamente però la pellicola decolla con decisione, grazie ad una sensibilità piuttosto rara nel genere, tanto per i volti scelti ad interpretare vittime ed aguzzini, quanto per l’attenzione intellettuale ad evitare la trappola del ridicolo involontario (riscontrabile senz’ombra di dubbio nei film di Garrone, tipo Lager Ssadis Kastrat Kommandatur o SS Lager 5).
Adriano Micantoni e Daniela Poggi incarnano con credibilità i rispettivi ruoli, non affrontandoli mai con la superficialità anticamera del macchiettismo, dimostrandosi anzi generosi nei momenti più imbarazzanti ed estremi della pellicola: lui sarà preda sessuale della kapò che ama sodomizzarlo con un bastone, lei verrà legata nuda ed a testa in giù su un contenitore colmo di topi voraci.
La sceneggiatura ed i dialoghi non brillano certo in originalità, ma l’impatto violento di molte sequenze risulta innegabilmente efficace ed incisivo. Un’opera che, proprio grazie a questa natura “irresponsabilmente anomala” ed inquietante, si è guadagnata l’ammirazione sincera di registi affermati come Quentin Tarantino e soprattutto Eli Roth, che omaggia esplicitamente il film di Canevari nella sequenza più cruenta di Hostel: part II (2007).
La bellissima Daniela Poggi, al contrario, sembra non voler ricordarsi di questa incredibile esperienza cinematografica.
Magazine Cinema
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