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L’Ungheria di Orbán in cerca di aiuti internazionali

Creato il 23 luglio 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Federica Castellana

L’Ungheria di Orbán in cerca di aiuti internazionali
Sono ripresi in questi giorni i negoziati dell’Ungheria con il Fondo Monetario Internazionale, l’Unione Europea e la Banca Centrale Europea per la concessione di una linea di credito di circa 15 miliardi di euro. Le trattative, cominciate lo scorso anno, hanno avuto un andamento scostante principalmente a causa delle vicende interne del Paese che hanno destato forte allarme in tutta Europa e non solo. Membro dell’UE dal 2004 ma non dell’Eurozona, l’Ungheria ha infatti importanti legami con gli altri Stati dell’Unione, interessati naturalmente alla stabilità e alla ripresa della giovane repubblica magiara (Germania, Italia e Polonia sono tra i principali partner commerciali e finanziari oltre a Paesi limitrofi come Austria, Slovacchia e Romania) [1].

Crisi economica ed emergenza democratica

I primi segnali di difficoltà economica e politica in Ungheria risalgono già al 2007. In una economia post-socialista ancora debole e fortemente dipendente dagli scambi e dagli investimenti esteri, la crisi del debito sovrano e la congiuntura globale negativa hanno facilmente travolto i vantaggi portati dall’adesione all’UE; in aggiunta, il governo socialista si è dimostrato incapace di far fronte alle problematiche domestiche ed è stato oggetto di contestazioni trasversali per le misure di austerity adottate e per una serie di scandali all’interno del partito. Gli elevati livelli di recessione produttiva, disoccupazione e insolvenza hanno generato smarrimento e frustrazione nell’opinione pubblica, nonché delusione verso la causa europea. A beneficiarne è stato il partito nazionalista-conservatore Fidesz (Unione Civica Ungherese, appartenente all’ala del Partito Popolare Europeo): dopo una campagna elettorale dai marcati toni populisti, il leader Viktor Orbán è riuscito a trasformare in voti lo scontento e l’indignazione degli ungheresi ottenendo nelle elezioni di aprile 2010 una maggioranza parlamentare schiacciante (circa due terzi dei seggi), in grado di apportare considerevoli modifiche istituzionali all’apparato nazionale.

In effetti la manovra riformatrice guidata dal Primo Ministro Orbán non si è fatta attendere: questa ha però assunto i tratti di una pericolosa deriva autoritaria e ultranazionalista contraria ai principi democratici e agli impegni di integrazione internazionale ed ha subito suscitato apprensione nel continente ed oltreoceano. La legge sull’informazione approvata dall’esecutivo ungherese, per esempio, istituisce un’Authority nazionale di nomina governativa incaricata di sanzionare i media che diffondono notizie lesive dell’ “interesse nazionale” (ovvero, non allineate alle posizioni del governo) ed ha già portato al licenziamento di diversi giornalisti e alla chiusura dell’emittente radiofonica di opposizione Klubradio. Tra gli altri provvedimenti si segnalano l’abolizione del supervisore alla protezione dei dati, il pensionamento anticipato dei giudici della Corte suprema, la criminalizzazione dei senzatetto (sottoposti a multa e reclusione per occupazione di suolo pubblico) e l’estensione della cittadinanza ungherese a tutte le minoranze residenti in altri Paesi, sicuramente non vista di buon occhio da vicini come Slovacchia, Romania e Serbia. Il 1° gennaio di quest’anno, poi, è entrata in vigore la nuova Costituzione, impregnata di riferimenti alla centralità della nazione, della famiglia e delle radici cristiane, che pone seri interrogativi sulla gestione di tematiche quali l’aborto, le unioni civili e le potenziali discriminazioni per nazionalità o orientamento sessuale.

In patria e all’estero le reazioni contrarie alla virata antidemocratica della politica ungherese sono state diverse e immediate: alle grandi manifestazioni popolari tenutesi a Budapest contro “Viktátor” (come è stato definito Orbán dalle migliaia di contestatori) si sono subito aggiunte aspre critiche dalle Ong internazionali e dall’UE in merito alla non conformità del riformato sistema ungherese con i valori fondamentali della società civile europea e con l’acquis comunitario (soprattutto con la Carta dei diritti fondamentali di Nizza e con la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo).

I contrasti con UE e FMI

Tra l’altro in poco più di un decennio i rapporti tra Budapest e Bruxelles sono decisamente cambiati: da allievo modello, l’Ungheria è diventata più ribelle ed euroscettica; dall’adempimento diligente ed entusiasta degli impegni necessari per la transizione democratica e l’adesione alla UE il Paese magiaro è passato a una posizione più nazionalista rispetto alla cessione di sovranità, complici, in particolare, il cambio al governo e il generale deficit democratico del progetto europeo.

Il culmine dell’attrito con l’UE – ma anche con altre istituzioni internazionali, primo fra tutti il FMI – si è avuto tra la fine del 2011 e la prima metà del 2012. Già all’indomani della vittoria elettorale del 2010, il Primo Ministro Orbán aveva rinunciato al piano di salvataggio di 20 miliardi di euro stanziato da UE e FMI nel 2008. Nello scorso autunno, però, la situazione economica ungherese è drasticamente peggiorata, con il declassamento da parte di diverse agenzie di rating dal livello BBB- al più pericoloso BB+, la svalutazione del fiorino e gli altissimi spread dei titoli di stato: Orbán ha perciò dovuto riavvicinarsi ai palazzi della “Troika” UE/BCE/FMI in cerca di “un accordo in forma assicurativa” (evitando attentamente di usare il termine “prestito”) di 15 miliardi di euro. Tuttavia a dicembre i colloqui sono stati bruscamente interrotti da Bruxelles, Francoforte e Washington in seguito all’adozione da parte di Budapest di una legge che riporta la Banca Centrale Ungherese sotto il controllo governativo.

Inoltre, dopo le perplessità espresse dal Consiglio d’Europa e dal Parlamento Europeo sulla neo Costituzione, lo scorso gennaio la Commissione Europea ha aperto tre procedure di infrazione contro l’Ungheria chiedendo di rivedere le nuove normative che colpiscono la Banca Centrale nazionale, la magistratura e l’autorità garante dei dati personali. La minaccia del deferimento alla Corte di giustizia dell’UE e il conseguente rischio di ingenti sanzioni pecuniarie hanno indotto Orbán a fare un passo indietro e concedere alcuni emendamenti.

Il braccio di ferro con l’UE è proseguito poi anche a marzo, quando l’Ecofin ha sospeso l’erogazione di fondi strutturali europei all’Ungheria per circa 500 milioni di euro finché Budapest non si è impegnata a portare il deficit di bilancio al 2,5% del PIL.

La situazione oggi

Dopo l’intensa attenzione mediatica dello scorso inverno, il caso ungherese è stato piuttosto ridimensionato, probabilmente nel tentativo di tranquillizzare gli investitori e gli acquirenti esteri e di non allontanarli ulteriormente da un Paese già in difficoltà. In questi giorni però si ritorna a parlare di Ungheria: lo sblocco dei negoziati con la Troika per la concessione del pacchetto di aiuti di 15 miliardi di euro – in corso proprio in questi giorni a Budapest – è stato finalmente possibile grazie alle modifiche che il Parlamento ha apportato di recente alla controversa legge sulla Banca Centrale per garantirne l’indipendenza dal potere esecutivo. Dalla Troika ci si aspettano pressioni sul governo magiaro per l’adozione di consistenti politiche strutturali che consentano di mantenere i vincoli di bilancio, ma Orbán da parte sua ha già dichiarato che il FMI “non può dettarci condizioni”.

In realtà, nonostante il recente riflusso nazionalista ed euroscettico, l’Ungheria ha davvero bisogno dell’aiuto internazionale: secondo The Economist al momento è l’economia più debole in Europa centro-orientale, con il PIL in forte contrazione (-1,2%), il tasso di disoccupazione vicino al 12%, l’inflazione al 6% e un debito pubblico che si aggira sull’80% del PIL. A ciò si aggiungono l’aumento dell’IVA (dal 25 al 27%), le nuove tasse sulle telefonate e sul junk food e la volatilità del fiorino rispetto alle altre valute europee. Anche il contesto politico resta particolarmente delicato. Il dominio della destra conservatrice si basa su un’opposizione parlamentare ormai debole e poco credibile (il partito socialista nelle ultime elezioni ha riportato solo il 19% dei consensi) alla quale cercano di sostituirsi i sindacati e la società civile, attiva specialmente nella lotta alla marginalizzazione del dissenso. Oltre all’ascesa politica del partito di estrema destra Jobbik (Movimento per l’Ungheria migliore) di matrice xenofoba, antisemita e omofoba, preoccupano i livelli di corruzione, i tassi di povertà e la crescente tendenza dei più giovani all’emigrazione [2].

La difficile sfida oggi per le istituzioni internazionali – in questo caso UE e FMI – resta quella di riuscire a presentarsi come punti di riferimento efficaci e soprattutto democratici nell’affrontare i problemi globali, evitando però di sconfinare nella tecnocrazia che può alimentare sentimenti nazionalisti e autarchici nei Paesi membri.

* Federica Castellana è Dottoressa in in Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Studi Europei (Università di Bari)

Per saperne di più

[1] http://www.ice.gov.it/paesi/europa/ungheria

[2] Attolico A., Resa dei conti tra Ungheria e UE, AffarInternazionali, 28.03.2012 http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2002


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