All’inizio Ryan Air mi sembro’ il passaporto per il mondo, la via diretta e rapidissima per scorribande europee a costi sostenibili, la porta aperta ad un’ora da casa sull’irresistitibile dimensione del viaggio, nella quale luoghi immaginati si traducono in colori, odori, sapori e visi.
Poi Ryan Air comincio’ a socchiudere la porta: un aumento di qua, uno specchietto per le allodole di la’, un atterraggio in aperta campagna ad un’ora dal centro, una partenza ad orari inusitati. Mentre il costo del trasporto bagagli lievitava, la mia capacita’ di ridurre gli stessi si affinava sempre piu’, in un gioco di astuzie che svolge la stessa funzione del piede che cerca di tenere aperta la porta.
Ryan Air continua a stupirmi: i suoi aerei sono pieni, sempre piu’ simili a carri bestiame. Mi chiedo se di questi tempi di crisi i passeggeri non siano figuranti prezzolati. Ogni quarto d’ora, in volo, viene annunciata una vendita: sembra di essere in spiaggia circondata da vucumpra’. Le divise gialle e blu mi ricordano i colori di un supermercato e viste da vicino lasciano intuire la pochezza del taglio e del tessuto.
Salgo su un loro aereo felice perche’ viaggio ma consapevole che allo stesso costo posso avere di piu’ da altre compagnie. Spero seguano scrupolosamente le procedure di manutenzione e controllo: le statistiche giocano a favore. E considero il volo un male necessario e cerco di ignorare le scene penose della misurazione del bagaglio a mano, con conseguente estorsione legalizzata e pianti del passeggero ingenuo o finto furbo.
L’unica cosa che mi piace di Ryan Air e’ che ha completamente stravolto i criteri di scelta del personale di bordo: niente donne immagine, niente corpi con impossibili altezze al garrese, niente visi perfetti sotto strati di stucco.
Donne normali, insomma, come e’ giusto che sia. Basta che arrivino ad altezza cappelliere.