A cura di Bruce Wayne
Alla fine ha dovuto smettere. Stare in panchina gli provocava sbalzi di pressione, malessere, stati d’ansia. E così nella semifinale di andata della Coppa Italia del 2000/2001, mentre il suo Parma perdeva in casa con l’Udinese, Arrigo Sacchi decise che allenare squadre era un amore che non poteva più permettersi di frequentare.
Fu un peccato. Ma, d’altra parte, fu anche un avvenimento rivelatore. Perché se è vero che guardare i suoi undici ragazzi correre in campo era, per Sacchi, un po’ come combattere con i fantasmi della sua anima, è vero anche che le sue squadre sembravano sempre, incessantemente possedute da uno strano demone, quasi da una forza oscura.
Non mollavano mai. Era come se vincere la partita non fosse tanto una questione legata al divertimento o al lavoro, quanto una faccenda di vita o di morte. Stavano su ogni pallone, aggredivano il gioco, saettavano da una parte all’altra del campo. Quasi che tutti e undici i ragazzi di mr. Sacchi non fossero undici individualità distinte l’una dall’altra, ma una sorta di proiezione della mente, del turbamento, dell’ansia nevrotica del loro allenatore.
E che risultati che riuscì ad ottenere quell’ansia! Tutti ricordano i trionfi al Milan, quando il Real Madrid, in Coppa dei Campioni, poteva essere travolto con un secco 5-0 nemmeno si trattasse di una qualsiasi candidata alla retrocessione in Serie A. E tutti ricordano l’Italia-Spagna dei Mondiali del ’94, quando l’undici di Arrigo Sacchi sembrò, per buoni venti minuti, essere l’unica squadra in campo. Perché i suoi ragazzi erano animati dalla sua forza cieca, dalla sua smodata ed irresponsabile passione: gli altri si limitavano a praticare uno sport.
Certo, la vetta del mondo non riuscì a toccarla. Perché la finale di Usa ’94 finì ai rigori, e i rigori decretarono che a vincere fosse il Brasile e non l’Italia. Ma certo, per l’uomo che da ragazzo aveva abbandonato il calcio dilettantistico per dedicarsi all’azienda del padre, già arrivare a piegare i verdeoro e quasi a togliergli lo scettro dovrebbe essere un grande, immenso risultato.