L’uomo consumato dai rifiuti.
Creato il 10 gennaio 2015 da Lostilelibero
L’uomo trasforma le risorse in rifiuti più rapidamente
di quanto la natura sia in grado di ritrasformare i rifiuti in risorse.
S. Latouche
Ci si sveglia, come spesso accade nelle
questioni popolari, fuori tempo massimo. O non ci si vuole affatto svegliare. Il popolo, nobilitato
oggi al rango di cittadinanza, sembra non aver fatto grossi passi avanti
rispetto al suo progenitore “volgare”. Ha infatti sempre bisogno, per
continuare a darsela a bere e proseguire così nel suo rassicurante torpore, di
capri espiatori, di “farmaci”, lenitivi
e palliativi per non accorgersi dell’horror
vacui che ha voluto immedesimare (e non riempire, ché bisognerebbe essere
qualcosa per poterlo fare!). De-vertimenti che, per parafrasare Pascal, lo
distraggano dalla sua miseria e dalla sua inconsistenza sovracomunitaria.
Come
la plebe sua anteriore, non vuole responsabilità. Meglio il disimpegno, meglio
pascere nel consolante giaciglio di una comune e grigia appartenenza, meglio
occultarsi nell’anonimato del “noi”, anziché riscoprirsi autonomi attori del
proprio volere.
Come potrebbe, infatti, essere sensibile colui che preferisce
questo comodo anonimato alla personalità? E così, vigliaccamente, di fronte a
quei reiterati richiami dal mondo, si tappa le orecchie, e lo fa perché
ascoltare quella stessa eco esistenziale potrebbe svegliarlo dalla sua
illusione, rovinandogli pure il buonumore. Grazie anche a questa insensibilità,
l’uomo moderno non sente nemmeno la solerzia verso tutte quelle problematiche
legate all’ambiente, all’ecologia, all’inquinamento o alla cura dell’habitat in
cui vive. Anzi, se ne frega bellamente, seguita nella sue molteplici insensate
attività e continua a consumare, anche l’ambiente circostante. Non si accorge
che proprio consumando, paradossalmente, acuisce ancor di più quelle criticità
ambientali (ogni uomo, costretto nel proprio insensato “benessere” ad erodere il
proprio habitat, produce più di un chilo di rifiuti al giorno). Come una
trottola impazzita sta in piedi solo ed esclusivamente grazie alla velocità del
proprio movimento, trasforma e produce merda artificiale con la stessa allegra
tranquillità con cui se ne nutre, con la serenità di chi ormai non riesce più
nemmeno a vedere la concreta possibilità di vivere in maniera a-fecata. Ne
intravede la potenzialità forse, quando va bene, ma si ritrae non appena
comprende che quella diversa autocoscienza lo porterebbe a dover ridurre i
confort e il fittizio benessere a cui preferisce rimanere imprigionato
(ipertrofico per necessità “morale”, o meglio per sfuggire alla coscienza, poiché
un uomo etico non potrebbe mai diventare un consumatore. Questo sempre novello fruitore
medioman, tanto osannato dalla società di massa, deve consumare per produrre, e
non viceversa, come sarebbe invece logico sospettare. In tal modo, il suo
ipertrofismo fisiologico, compreso quello di generare merda su merda, diventa
un’esigenza vitale). Che ne sarebbe, infatti, del sacro Pil, se tutta la
paccottiglia, gli imballaggi, le cornici e le colorate confezioni del progresso,
non venissero prodotti per rendere appetibili al mercato le sue frivole merci? E
producendo meno rifiuti, che fine farebbero quel lavoro, e quei lavoratori impiegati in
quegli specifici settori di maquillage? Si ridurrebbe forse proprio quel dominus che è il Pil, lo stesso bisogno
di “forza lavoro”? (in realtà non necessariamente, se ci fosse un riciclo “serio”,
allargato a tutti i campi della produzione, che rendesse “conveniente” l’aggiustare
e il riparare, anziché acquistare prodotti sempre nuovi. Meno rifiuti ma più
lavoro, seppur più lento, ma maggiormente duraturo).
Ma quest’uomo schiavo dei numeri della
finanza, rammollito dal benessere materiale, vincolato all’isterica libertà
obbligatoria del consumo, e imprigionato alla dignità del lavoro-reddito, vuole
anzitutto orpelli e de-vertimenti che lo distolgano da tutto ciò che potrebbe,
invece, farlo sentire una persona viva. Immerso nei suoi stessi rifiuti solo
perché non è disposto a rinunciare a quel finto benessere che lo riempie di
assenza!
E così, con la tonta sfrontatezza di
Candide, ci siamo cacciati in un infinito cul
de sac senza fondo, per cui il buon lavoratore
dovrà consumare per
continuare a lavorare, cagare per mangiare; il consumatore sarà invece costretto a logorare
risorse ad un ritmo via via più veloce per continuare a mantenere il suo
ovattante (quello della carta igienica) stile di vita; il Pil dovrà continuare
a correre per non perdere il suo autorevole senso e si dovrà, necessariamente,
continuare a produrre una grande quantità di sprechi, di cose che non servono, possibilmente
a debito (è solo 100 volte la massa monetaria rispetto al valore di tutte lecose, beni e servizi), pur di non dover ammettere che il meccanismo intero è privo di senso.
A questo uomo
contemporaneo, probabilmente, servirebbe una netta inversione di tendenza, capace di superare
il turbinio di nonsense e
l’ipertrofia di oggetti con cui ha voluto occultarsi. Una rinnovata prospettiva
che metta finalmente al centro di ogni qualsivoglia progetto proprio l’uomo e
l’ecosistema in cui vive, togliendo questa centralità ai vari de-vertimenti
sinora escogitati, non ultimi anche il consumare ambiente e risorse per
continuare a lavorare in ossequio al dogma “economico
”. Cosa dovrebbe essere,
ormai, questo demenziale eco-nomos? L’ambiente
che detta le leggi (nomos), o invece
l’uomo che “nomina” la natura? L’attuale economia, volendo legiferare anche sul
nulla, fa più pensare al nomos della
eco. Eppure, tutti tronfi della nostra
sicurezza, ci siamo persi nella nostra redditizia produzione di “scarti” e
rifiuti. Abbiamo la merda fino al collo, e ce ne rallegriamo, perché abbiamo
capito, in fondo, che anche quella ha un potere d’acquisto, dà e fa fare soldi,
produce lavoro…
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