L’urlo di Piazza Navona: “Libertà”. La cronaca di un blogger libero.
Creato il 02 luglio 2010 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Se nel backstage di Piazza Navona, ieri, alle 18.00, incontri Patrizia D’Addario ti chiedi cosa diavolo ci fai lì e ti domandi, tu uomo della strada che a malapena legge i giornali delegando a Minzolini la tua informazione, cosa diavolo ci abbia trovato Silvio Berlusconi in una donna che, avrà pure tante qualità, ma non spicca sicuramente né per bellezza né per fascino ("poteva lavarsi almeno i capelli", il commento della nostra compagna). È stato così che, pur avendo annunciato la nostra presenza “ideale” alla manifestazione di ieri di Piazza Navona contro il ddl-bavaglio, l’avere a fianco una donna dotata di una fervida fantasia creativa da “pasdaran della libertà” (degli altri), nel giro di tre ore ci siamo ritrovati fisicamente immersi nel “calore” di una piazza che non le ha mandate a dire, le ha dette e in qualche momento urlate. Non potevamo non essere presenti, perché quando il nostro stesso diritto alla “vita” viene messo in discussione, non è più il tempo di affacciarsi alla finestra e vedere il mondo che scorre senza di noi. Il colpo d’occhio di Piazza Navona, da solo, vale il viaggio di corsa fatto in autostrada. Come capita quando ad organizzare manifestazioni è la Fnsi, le bandiere di partito tendono a fare da contorno a un popolo che solo in parte si riconosce in quei simboli e in quelle bandiere. Ci sono quelle del Pd, dell’Italia dei Valori, dei Verdi, di Rifondazione, di Sinistra e Libertà ma, soprattutto, ci sono i cartelli, i volti imbavagliati e con la bocca chiusa da un post it e c’è, fino a sentirla agitarsi sotto la pelle, una voglia di libertà che riporta ad altri tempi, ad altre situazioni, ad altre storie. Quando siamo arrivati, sul palco c’erano i Tête de Bois, ancora musica dopo l’Inno di Mameli eseguito dall’Orchestra Sinfonica di Roma e c’era una Tiziana Ferrario (ha tenuto “botta” fino alla fine, senza un momento di cedimento), che sulla sua pelle sta vivendo l’informazione ai tempi di Mr. B e dei suoi lecchini paludati. Abbiamo incrociato Veltroni (tronfio), Fassino (ingobbito), Rosy Bindi (la solita pasionaria), il segretario “in-gessato” Bersani e Ignazio Marino (che avrà da ridere lo sa solo lui). Praticamente c’era tutto lo stato maggiore del Pd meno Massimo D’Alema che probabilmente sa che da queste parti non rimedierebbe sicuramente applausi. Sintomatico del rapporto di D’Alema con questa piazza, il cartello di un signore di una certa età (senza capelli rasta e “cannone” in mano) che diceva: “D’Alema 2 cose: la 1ª chiedici scusa. La 2ª vattene”. Ma il più creativo è stato sicuramente quello, grandissimo, che riproduceva il governo di Berlusconi con l’immagine di Silvio in testa e quelle dei ministri sostituite da codici a barre: geniale! Si è rivisto Fausto Bertinotti, elegantissimo, abbronzatissimo, tronfissimo, Pietro Folena e poi Antonio Di Pietro in maniche di camicia, ma sono state apparizioni fugaci: il tempo di una fotografia, di una dichiarazione, una rapida passerella fra gli addetti ai lavori e via, lontani dalla pazza folla. Uno dei personaggi più gettonati è stato sicuramente Stefano Rodotà, il padre italiano del diritto alla privacy il quale ha tenuto a dire una cosa elementare, che tutti hanno capito ormai da tempo: “Questo decreto, con la privacy degli italiani onesti, non c’entra niente”. Al telefono Ennio Morricone e Dario Fo e, nel parterre, Ettore Scola, Citto Maselli, Mimmo Calopresti e l’eterea farfalla Carla Fracci, accompagnata dal marito Beppe Menegatti, che non abbiamo non potuto salutare, quasi omaggiare. E la visione di una donna esile ma fortissima, etoile di prima grandezza, ballerina famosa in tutto il mondo, che è scesa in piazza per protestare contro le minacce alla libertà e alla cultura, ci ha fatto domandare in quale diavolo di paese viviamo, con chi ci troviamo a dialogare e da quale scatenato satanasso siamo governati. E lo confessiamo senza pudore, ci siamo immalinconiti fino alle lacrime alla vista di una signora che con un filo di voce cercava di spiegare al microfono di una radio, i motivi della sua presenza. Ci sono passate davanti le immagini dei “grandi vecchi”, Mario Monicelli, Ettore Scola, Rita Levi Montalcini, Gillo Dorfles e abbiamo avuto la conferma del perché, per tanti anni, in Italia è stato possibile respirare aria di libertà. E ci siamo chiesti cosa c’entrino con loro, con noi, Emilio Fede e Bruno Vespa, Augusto Minzolini e Mauro Masi, Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro e SS, Sicario Sallusti. Ci siamo chiesti perché ci siano venuti in mente solo nomi di giornalisti e di manager e non quello di un solo uomo o donna di cultura che militi dalle parti del Pdl, la risposta è venuta da Patty D’Addario che, libro in mano, si è lasciata fotografare quasi fosse Isabelle Allende. Tutt’altro discorso quello su Roberto Saviano. Ovviamente non dato presente, alle 20 si è materializzato circondato dalla sua scorta. Quasi un pulcino indifeso. Pallido fino all’esangue. Un bagno di folla inaspettato e annunciato (senza farne il nome) da Tiziana Ferrario solo qualche minuto prima. Vedendolo salire le scale del palco, coperto dai corpi dei suoi agenti di scorta, abbiamo compreso il senso del “morto che cammina” ricordando le sue parole sulla “camorra che non dimentica né perdona”. E ci siamo chiesti il motivo dell’esistenza mediatica di Emilio Fede. Per dirla tutta, non ne abbiamo trovato neppure uno. Mille, invece, per continuare ad esserci.
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