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L’utopia universitaria secondo Tim

Creato il 02 dicembre 2013 da Jonlooker @Jonlooker

Che fine aveva fatto Chiara Galiazzo, una volta sbarcata a Venezia?
Noi l’avevamo lasciata a scocciare i gondolieri, con il rischio che qualcuno pensasse che da lì le cose potessero farsi interessanti. Era quindi doveroso per la compagnia Telefónica (ah ah, questo mio umorismo da Sole24Ore) smentire tale illazione, con una nuova serie di promo che ribadiscono che tutta la saga rimarrà malfatta e priva di struttura.

Vi risparmio gli spot coi finti genitori dall’accento veneto passepartout, perché fanno male alle orecchie in ogni millisecondo, e mi riservo di commentare o meno in futuro gli ultimi, in cui Chiara farà la festa di condominio con la macchietta partenopea, perché ho un animo delicato.

Mi soffermo quindi sulla vita universitaria della cantante, perché merita (non è vero).

Chiara si è ricordata che, oltre a frequentare l’università, deve trovare anche un luogo dove dormire, così si siede a un Caffè e, comoda comoda, cerca una nuova sistemazione.
Parte la prima telefonata.

«Ah, siete quattro!»

Fa, tutta frizzantina. Ci si chiede perché il numero quattro scateni questa gioia inutile, ma non importa, perché lei scopre che sono “tutti maschi”. E ciò è assurdissimo e pericoloso, direi quasi ai limiti della legge. Non se ne fa niente.

Mentre sbatte il telefono sul tavolino (e non è quello regalato dalla nonna: in quanto tempo l’hai perso, due o tre ore?), sull’iPad si materializza una pagina che recita “Singola luminosa e silenziosa”.

Che non sono proprio le parole per descrivere quella garçonnière porpora violetto, verrebbe da dire. Ma cosa ne so io, magari per mostrare che una camera è luminosa bisogna sprangare gli scuri.

Per chi conosca le condizioni medie degli appartamenti universitari, verrebbe da dire pure una parola di dieci lettere molto calzante (no, non è “mentitrici”, anche se ci sta) perché, di solito, con “singola luminosa e silenziosa” si intende una gabbia per galline dall’altro lato dell’aia.

«Quattro studentesse cercano coinquilina per dividere le spese…»

Chiara appare soddisfatta su tutta la linea: c’è ‘quattro’ per accontentare la smania numerologica, ‘studentesse’ per placare l’esigenza di gineceo, più una frase giganticamente superflua. Perché è sempre importante aggiungere “per dividere le spese”, altrimenti uno potrebbe pensare “per commettere omicidio in villetta umbra”. È anche giusto mettere le mani avanti.

Tanto basta dunque per fiondarsi, avviluppata in una tenda da doccia, in una casa abitata da quattro ragazze che ridacchiano tutto il tempo e un cane che non sembra troppo in salute.

«Chi è?!»

«Ah, dev’essere Chiara, la ragazza dell’annuncio!»

Ah, oh, uuuh, fanno le tre che rimangono sedute e che, con grande educazione, si impegnano a fissare lo schermo di un telefonino bianco mentre quella poveretta è venuta su per vederle. Ma appena Chiara entra, eccole che la guardano come se il suo arrivo fosse una totale sorpresa. Se non vi pare una situazione di disagio mentale questa.

La ragazza che è andata ad aprire la porta trascina Chiara in avanti come se volesse approfittare della sua gonna lunga per spolverare a terra, e comunque era da dirle giù le mani che non ti conosco e mi hai già fatto i lividi all’avambraccio.

Mi stavano tutte antipatiche finché non hanno detto i loro nomi, al che si è aggiunto l’orrore per lo sforzo tragico e appena sufficiente che fanno per ricordarsi quali sono stati loro affibbiati.

Scopriamo che l’invadente vestita Decathlon si chiama Eleonora, quella con tutte le corde al collo si chiama Erica (no, non ti chiami Erica e si vede che è la prima volta che pronunci quel nome), la signorina orientale si chiama Maia (detto con lo spirito se mi dicevano che mi chiamavo Friggitella per me era uguale, tanto mi vedete solo oggi, ché mi hanno scelta solo a fini di melting pot) e infine c’è Martina, la cui presenza è oscurata con prepotenza da una delle magliettine più brutte e mal concepite che siano mai state fabbricate. Una cosa inguardabile proprio.

Ah, giusto, quasi dimenticavo: c’è anche il cane Mosè.

«Bau.»

Una gag irresistibile davanti alla scacchiera della dama, per la quale tutte applaudono e zirlano come scriccioli impazziti.

Non so bene in che modo, ma il momento equivale alla firma del contratto, giacché da quel punto in poi Chiara è di fatto entrata a far parte della compagnia.

Queste graziose universitarie devono essere davvero facoltose per potersi permettere un appartamento simile. Ma non è tutto. Si concedono anche le cavalcate in località remote e misteriose, passando il tempo in quello che io chiamo l’Erasmus dell’Emiro.

A questo proposito, io direi alla Tim che se vuole entrare nelle grazie degli studenti fuori sede, queste stupidate deve lasciarle stare. Vada la cameretta delle brame di Bel Ami e la casa coi muri puliti senza uno spruzzo di sugo, la prendiamo come licenza poetica. Ma chi sopravvive in un alloggio in una città universitaria, forse vi farà passare il soggiorno da cento metri quadri, ma quando vedrà gli estemporanei sollazzi equestri delle campionesse di risolino, minimo minimo vi sputa in faccia la minestra pronta dentro cui stava piangendo pensando ai due esami che ha la settimana prossima.

Dicevamo. Perché studiare quando puoi indossare un poncho color tossinfezione alimentare e lanciare la tua coinquilina a novanta chilometri orari su un cavallo costosissimo? E perché chiamare aiuto quando puoi urlare in coro con altre menti superiori, così magari quel cavallo lo infastidiamo pure?

Martina, colei che non vive senza magliette a righe, si perde in questo modo in un bosco di statue e foschia da affumicatura, nel quale si guarda attorno con un artefatto timore dell’ignoto che viene da colpirla alla nuca con un Telegatto. Martina, che è anche molto intelligente, prende subito lo smartinphone e chiama le altre – non proprio sulle chiamate rapide di chi deve essere salvato, considerato che inciamperebbero su un ago di pino. Chiara e quella che dice di chiamarsi Erica boccheggiano:

«Ma dove sei?»

Non sono in pensiero, hanno solo questa curiosità un po’ irritata, vuoi vedere che questa ci fa perdere tempo, ignorando con convenienza il fatto di aver dato personalmente una pacca sul sedere del cavallo.
Erica parla pure di sopra, lei che sa. No, tu non puoi parlare finché non bruci quella terrificante borsa senape. Proprio non puoi emettere suoni.

«Non lo so sono in Italia, spero… credo.»

Fa l’altra con un telefonino agganciato al territorio italiano con massima ricezione. Deve averla confusa l’esercito di terracotta in mezzo alle felci.

Eleonora, che sappiamo non eccellere nel personal space, ma che in effetti sembra l’unica a cui affidare un cactus, strappa il cellulare di mano a Chiara con la faccia date a me, che voi siete cretine.

Poi chiede le coordinate a Martina che, contro tutte le aspettative evocate dalla sua espressione ottusa, saprà come farsi trovare.

Come stai Martina? Hai battuto qualcosa? Hai male? Ti sei spaventata?

Si dice in situazioni simili. Ma noi abbiamo ormai capito che non siamo davanti ai gattini più svegli della cesta.

«Martinaaaa dovevi tirare le redini!»

Che considerazione terapeutica e opportuna. Per non sprecare tutta questa empatia, le farei andare in giro per gli ospedali a dire ai pazienti «dovevi frenare!»; «se guardavi dove camminavi non ti rompevi il femore!». Saranno le preferite di Traumatologia.

«Lo so ma erano loro che tiravano me!»

A questo punto scatta una risata da Oktoberfest che imbarazza fino all’osso sacro per quanto è orrenda, aggravata dall’abbraccio circolare paragonabile solo a quello dei Power Ranger, una roba che Maia può accendere un cero alla Madonna per il solo fatto di essere rimasta a casa.

Il cane è parecchio mogio.

Ma c’è di più (nel senso di peggio)

«Sì mamma sto studiando… sono in mezzo ai libri!»

ih ih ihihi, che scherzone che facciamo alla mamma, poi davvero, siamo nel bosco che è l’anticamera della carta quindi è un po’ come un libro… se avesse otto anni le direi che è una bimba molto acuta, ma viste le circostanze c’è poco da complimentarsi.

«Cosa studio adesso? Green economy. Molto green.»

Aggiunge Chiara, dondolando in un modo così irritante che verrebbe da dissotterrare il Telegatto di prima e colpire anche lei.

Non mi sento in grado di aggiungere nulla a quella che è una delle battute più squallide che il bosco abbia mai udito, se non che il video è intitolato proprio “Chiara Galiazzo studia green economy”, come a dire che si contava tanto sulla comicità della scenetta.
Mi farò cullare dall’immagine surreale delle altre tre sullo sfondo, che si fanno le foto in penombra come se non sapessero fare altro. Cosa che, credo, corrisponda a realtà.

Il cane, gobbo sullo sfondo, probabilmente l’unico ad aver capito la tristezza della situazione, è veramente desolatissimo, chiaramente tormentato dal pensiero ma proprio queste mi dovevano salvare dall’autostrada?



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