Ennio Mori (Fabrizio Bentivoglio) e la moglie Vittoria (Valeria Bruni Tedeschi) hanno appena avuto un bambino. La donna però è soggetta a depressione e non riesce ad allattare il bambino. Per questo viene assunta una balia, Annetta (Maya Sansa), una contadina analfabeta.
Bellocchio è un regista che si può definire “in continuo divenire“. I suoi film partono da storie molto diverse fra di loro, basta guardare gli ultimi tre titoli della sua filmografia: Vincere, Sorelle mai, Bella addormentata (il matrimonio segreto di Benito Mussolini con Ida Dalser, una serie di segmenti scollegati fra loro in parte recuperati da un film precedente del 2006 e l’eutanasia). La balia è la trasposizione dell’omonima novella di Luigi Pirandello.
I protagonisti sono il dottore e la balia, tra i quali si instaura un rapporto di reciproco insegnamento. Lui insegna a lei a leggere e a scrivere, lei insegna a lui a essere più libero nella mente. Il cambiamento è l’elemento chiave di questo film. Il professore afferma che Annetta è intelligente, dotata di un animo profondo a tal punto da non aver bisogno di imparare a leggere ma la ragazza risponde che non vuole rimanere uguale. Non rimanere uguali. La pellicola di Bellocchio, non fra le più importanti se vogliamo dirla tutta, sta tutta in queste tre parole.
Gli altri personaggi, infatti, si potrebbero benissimo definire inutili, se si cancellassero le scene dedicate a loro il film andrebbe davanti da solo senza problemi. Il travaglio di Vittoria, incapace di provare affetto per suo figlio; il giovane aiutante di Mori che si innamora di una ragazza di idee politiche comuniste, scappata nel loro sanatorio per cercare rifugio; il galantuomo malato di mente a cui Mori va a fare visita spesso, inutilmente. A parte una lode per l’interpretazione di Michele Placido dell’ultimo personaggio citato, non si può dire niente di questi personaggi.
La balia rimane dunque, senza dubbio, una delle produzioni minori di Bellocchio, un esercizio di regia che lascia il tempo che trova.