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C'è qualche mistero della nostra storia che siamo riusciti a chiudere e spiegare definitivamente?
Piazza Fontana.
il rapimento di Aldo Moro.
Le bombe della mafia del 1992-1993.
Il caso Orlandi e la banda della Magliana.
Ieri abbiamo scoperto che nella tomba di S Apollinare non si trovano solo i resti di De Pedis. Di chi sono le altre ossa?
E oggi su Il fatto quotidiano l'ex boss della banda, Antonio Mancini "Accattone" (Ricotta nel romanzo di De Cataldo), racconta la sua storia.
Una storia di coca, donne e neofascisti.
Non stiamo ancora parlando di lui, del comico che ci ha allietato per anni, ma del ritratto della banda che esce dall'intervista.
Dice Mancini che “De Pedis? Oggi sarebbe in Parlamento.
Delle nostre manovre tra mafia e Servizi il Pci allora sapeva tutto”.
E che la banda non è finita:
“Sono anni che dico che la Magliana è viva. I magistrati mi danno retta a intermittenza, ma nessuno ha la forza di smentirmi. Io non ho opinioni. A domanda rispondo e se non so, sto zitto”.
Sul rapimento Orlandi:
Che ruolo ebbe De Pedis nel rapimento Orlandi?
Guidò la macchina che servì al sequestro della ragazza. Il rapimento fu deciso da mafiosi e testaccini. C’erano soldi che non rientravano e la scelta era tra lasciare qualche cardinale a terra ai bordi della strada o colpire qualcuno che fosse vicino al Papa e che aveva rapporti economici con noi per marcare un segno. Scegliemmo la seconda strada.
Quanti soldi?
Più di duecento milioni di dollari che la banda aveva riciclato per lo Ior e che non aveva più rivisto dopo il crack dell’Ambrosiano. Io e Danilo Abbruciati nell’81 andammo a Milano, per incontrare gente del Banco legata a Calvi e alla P2. A portare a Wojtyla la foto scattata in piscina a Castelgandolfo in cui lui era circondato dalle suore fu Gelli in persona. Tutto era legato.
Abbruciati morì nell’82, ucciso da una guardia giurata dopo il fallito attentato a Roberto Rosone, vicepresidente del Banco Ambrosiano.
La guardia giurata non sparò mai e subito dopo scomparve nel nulla. Abbruciati non era uno sprovveduto. Lo ammazzò lo Stato, perché Danilo aveva visto troppo. Pensate che a Milano sarei dovuto andare io. Danilo si rifiutò: “Se viaggio io otteniamo più soldi”.
Perché proprio la Orlandi?
Ve l’ho detto. Il padre di Emanuela non era un semplice messo. Era molto di più.
L’ha mai detto ai famigliari?
Quando vidi Natalina, la sorella di Emanuela, negli studi di Chi l’ha visto? le dissi esattamente così. D’altronde Nicola Cavaliere, un bravo poliziotto, inascoltato, lo disse subito. “La Orlandi è legata ai soldi della Magliana”. I giudici lo ignorarono, nessun magistrato voleva un carico del genere. Ora hanno detto che mi chiamerà l’Antimafia. Sto qui, vado, non mi nascondo. Non ho paura di niente.Il caso Moro:
C’è chi sostiene che la Magliana fosse anche dietro al caso Moro.
Certo, fummo noi a trovare il covo di Via Montalcini. Selis lavorava anche per Raffaele Cutolo e passò la dritta a Franco Giuseppucci, detto “er negro”. Fu lui a portare la notizia a Flaminio Piccoli. Si incontraronocarbonari,sottounponte,vicinoaPiazza Cavour. Le Br erano completamente eterodirette dai Servizi, infiltrate dallo Stato.
Qualche storico ritiene che Moro a Via Montalcini non sia stato mai.
E invece c’era. Poi non so se sia passato anche a Palazzo Caetani o a Palo Laziale, come alcuni suggeriscono. Venni a sapere che le lettere di Moro e i video degli interrogatori erano stati presi da una ex amante di Danilo Abbruciati. Un’ex partigiana al soldo del Mossad. Danilo sul sequestro dello statista Dc sapeva tanto.
Furono esponenti della Banda della Magliana a sparare a Moro?
Possibile. Non mi meraviglierebbe. Noi, la Mafia, il Vaticano, la politica. Nicoletti gestiva i nostri soldi e quelli di Andreotti, contemporaneamente. Il resto dell’arco costituzionale, a iniziare dall’esponente antiterrorismo più in vista del Pci, sapeva tutto. C'erano rapporti con i socialisti. Si parlava spesso di un siciliano, un pezzo grosso. Uno che avevamo tra le mani, cui potevamo rivolgerci senza troppi problemi e dare disposizioni.
Il delitto Pecorelli:
A proposito di Andreotti. Mancini cosa sa del caso Pecorelli?
Tutto. L'abbiamo ucciso noi e i siciliani. De Pedis aveva la pistola con cui era stato ammazzato. A finirlo andarono in tre. Angelo La Barbera e Massimo Carminati.
Il terzo?
Non lo dico, è un mio amico. Quando mi interrogarono il nome lo feci, ma aggiunsi: “Se lo verbalizzate non firmo neanche sotto tortura”.
Il vostro referente mafioso a Roma?
Con Pippo Calò andavo a mangiare, ma non mi piaceva.Noi della banda pippavamo,quelli erano sempre in doppio petto. De Pedis dormiva a Villa Borghese in un appartamento dei servizi segreti, la coca stravolgeva molti ambiti. E la Magliana li controllava tutti. Facevamo riunioni con i vertici di Carabinieri e Polizia, con i servizi segreti, con chi ci avrebbe dovuto arrestare.
La strage di Bologna:
Cosa sa della strage di Bologna?
Furono i fascisti manovrati dallo Stato. Forse gente intorno a Delle Chiaie, forse il gruppo di Massimiliano Fachini. Non Fioravanti e in ogni caso, qualcun altro della Banda intervenne in un secondo tempo allo scopo di depistare.
Chi Mancini?
Massimo Carminati. Un fascista che teorizzava l’ordine nel disordine. Anarcofascisti si facevano chiamare.“Noi uccidiamo il potere” urlavano. Mortacci loro.
Ha le prove per dirlo?
Se sarò chiamato a fornirle, le darò.
Pensa mai alle vittime?
Se è per questo anche ai carnefici. Alla P2. Con Ab-bruciati che come Giuseppucci, con i servizi aveva rapporti solidi,andavo nell’ufficio di Ortolani in Via Bissolati. Incontravo Luigi Cavallo, che voleva ancora fare il golpe e diceva di essere amico di Sin-dona. Noi volevamo salvare Francis Turatello, tirarlo fuori dal carcere e ai nostri interlocutori milanesi dell’Ambrosiano e ai piduisti l’avevamo detto chiaramente: “Ci avete chiesto Pecorelli e Moro e noi abbiamo rispettato i patti. Adesso tocca a voi”.
Ma Turatello morì a Badu ‘e Carros nell’agosto 1981 in modo atroce.
Un dolore enorme. Dicono che l’abbia ucciso Pasquale Barra sventrandolo e mangiandogli il cuore, ma è una cazzata. Barra prese quattro schiaffi, gli esecutori furono altri e l’ordine di far fuori Francis lo diede Luciano Liggio in persona. Francis riceveva lettere dai politici. Lo chiamavano capo.
Per sparare ai fratelli Proietti nell’81, lei in Via di Donna Olimpia a Roma improvvisò un Far West.
Marcellone Colafigli era ossessionato dalla morte di Giuseppucci. Dormivamo nella stessa casa e a volte, di notte, si svegliava. “Nino, er negro è uscito dal televisore. Continua a ripete ‘na frase”. Allora io lo assecondavo. “Che frase?” E lui: “Ahò, ma nun me vendicate mai?”.Proietti era un ricattatore,bisognava farlo.
Infine, i superstiti oggi:
La banda oggi?
Quando ho visto la foto di Mokbel (l’imprenditore romano che avrebbe supportato l'elezione al Senato di Nicola Di Girolamo, ndr) sul giornale mi è preso un colpo. Gennaro era il mio guardaspalle. Con Roberto D’Inzillo mi veniva a prendere in moto ogni mattina. Ha fatto sue le tecniche della banda, ma il più pericoloso, il vero capo di Roma, è un altro.
Chi?
Una nostra vecchia conoscenza uscita sempre indennedaiprocessi.Andateacontrollareetroverete il nome.
Come Flavio Carboni all’epoca della Magliana?
Non fatemi ridere. Carboni era patetico. Si travestiva con tacchi e parrucchino e faceva affari con Berlusconi. La prima volta che lo vidi però provai un sollievo assoluto. Se questo è il famoso Carboni, su Roma e sull’Italia comanderemo per tutta la vita.
C’è una morale in tutto questo?
Hosemprediffidatodellemoralienonsareicomunque la persona più adatta. Forse però aveva ragione Domenico Sica, l’ex alto commissario antimafia. Era certo che la Banda fosse più potente di Cosa Nostra e dei Servizi messi insieme. Non credo avesse torto.
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