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La barba. Perché piace tanto?

Creato il 20 luglio 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online
barba, virilità, maschio, Dario Franceschini, Karl Marx, Gesù

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“Donna barbuta sempre piaciuta”. E l’uomo? Pure, almeno stando alle ultime ricerche condotte in fatto di gusti femminili, fra le quali quella realizzata dall’agenzia matrimoniale “Eliana Monti”, da cui emerge che ben il 55% della popolazione femminile, predilige gli uomini con la barba.
Meglio se corta e rada, a condizione che sia ben curata, o lunga e folta –ma, in tal caso, solo in abbinamento a capelli medio-lunghi e solo a patto che ci si possa permettere di sfoggiare tale combinazione senza apparire un “barbone” anziché un irresistibile “selvaggio”, ai nostri giorni la barba rappresenta soprattutto un elemento di fascino maschile e uno strumento di seduzione: i peli sul volto conferiscono agli uomini, a detta dell’altra metà del cielo, un’aria più mascolina e, dunque, più rassicurante e affidabile, oltre che una maggiore avvenenza fisica.

Deve essersene recentemente accorto il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, che da qualche tempo sfoggia una folta barba, forse ispirato dall’appeal esercitato sulle masse dal leader del Movimento 5 stelle, Beppe Grillo, che la barba la porta da sempre.
Non solo virilità e fidatezza, ma anche saggezza: al gentil sesso i maschi barbuti appaiono più maturi e giudiziosi.
Da sempre, la barba è considerata (e non soltanto dalle donne), se non una “garanzia” di saggezza, perlomeno un indicatore di buonsenso: tale ornamento del viso era, infatti, un segno distintivo dei filosofi greci, ai quali veniva unanimemente accordata la dote della saggezza, e proprio dalla figura del filosofo barbuto, ha origine la convinzione che la barba sia indice di assennatezza.
E seppure è certamente vero che “la barba non fa il filosofo” e che “bella barba non fa saggezza”, è altresì veritiero che molti illustri protagonisti della Storia, tutti indiscutibilmente, seppure differentemente, saggi, fossero barbuti: uno su tutti, Karl Marx, che nel 2008 la rivista “Times” ha eletto la “barba più famosa della storia” (persino più celebre di quella di Gesù, solo quarto nella classifica delle 10 barbe più celebri della storia).

Di barbe importanti è ricca anche la storia risorgimentale italiana: quasi tutti i componenti del primo Parlamento -quello torinese di Palazzo Carignano- esibivano, infatti, lunghe barbe o basettoni e baffi foltissimi ed arricciati; fu per questa ragione che, nel periodo del Risorgimento, la barba venne considerata un attributo tipico della classe politica, finendo con l’acquisire una sorta di valenza politica.

Tale valenza è venuta meno con il passare degli anni, in Italia come in molti altri paesi: la barba, oggi, è considerata una questione di gusto personale e di moda.
Non è così in Egitto, dove la barba non rappresenta una mera questione di tendenza, bensì una faccenda che riguarda i diritti civili e la libertà individuale: durante il regime di Mubarak, era fatto divieto agli impiegati statali di portare la barba, in quanto la stessa veniva sfoggiata dai Fratelli Musulmani, considerati un pericolo per la tenuta del governo. Tutt’oggi, nonostante la caduta del regime dittatoriale, il veto sulla barba è ancora in essere, ma è probabile, vista l’insistente richiesta di revoca della proibizione da parte degli impiegati statali, che il divieto verrà abolito quanto prima.
Ai fortunati che vivono in paesi nei quali si può liberamente decidere se portare o meno la barba, non resta, dunque, che scegliere se esibire un viso fresco e giovane, rasato alla perfezione (rischiando di risultare meno attraenti all’occhio femminile), o se sfoggiare la barba, colta o incolta, lunga o corta, a seconda dei gusti.

Guardandosi bene, come suggeriva Verga, dal dispensare consigli al prossimo:
“Ciascuno deve pensare alla sua barba prima di pensare a quella degli altri”.

Articolo di Dalila Giglio


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