La bellezza e il corpo chambérien
il grado elevato del mou
Quando la si incontra la bellezza non rappresenta mai un’essenza, il vertice o il compimento di una ricerca, è semmai soltanto un accidente, un’eccezione dell’insulsaggine, uno scarto nella ripetizione che connesso con la fragilità, l’individualità, la voluttà dell’incontro e l’illuminazione di una tipologia rende possibile finalmente la classificazione del Bonheur[1]. Il Poeta fa questa scoperta miracolosa sfuggendo a quello che Barthes chiama la doppia insulsaggine della differenza assoluta: una tipologia s’impone, da cui, nel luogo pubblico che glielo mostra, afferra dei segni individuali ma conosciuti, come se fosse un corpo nuovo ma virtualmente ripetuto, si elude lo stereotipo preservando l’intellegibile. La tipologia che s’impone designando questo corpo nuovo reso intellegibile ha la stessa ritmica degli haiku, la ripetizione della stagione, il mercato, la Braderie, il samedi del Grand Carillon all’Angelus meridiano e all’Angelus del vespro, le strade, i parchi, la stazione.
La tipologia di questo corpo nuovo è così che diventa avvenimento irriducibile, con la semantica dell’istante solare connesso a quella stagione, a quel mercato, a quella Braderie, a quell’Angelus del Grand Carillon, a quella Foire. Il corpo chambérien, la femme chambérienne qui donne bonheur alla libido del poeta,è come se si spingesse sino all’estremo della propria individualità, che è come l’individualità giapponese di cui dice Barthes:”semplicemente differente, rifratta, senza privilegi, di corpo in corpo”[2]. E’ per questo che la bellezza chambérienne non è una singolarità inaccessibile: essa, essendo ripresa qui e là, correndo di differenza in differenza, ha il sintagma longilineo mesomorfo di Silvie Crozet; quello più ectomorfo di Simone Dauffe, il sintagma normomesomorfo da indice costituzionale 56 di Brigitte Bridomble, il sintagma biondoleggero di Valérie Andesmas, la morbidezza della misura savoiarda di Silvia Crocetti, l’allure-haiku che somatizza la pastosità ellittica della “tomate” e delle natiche, monumento chambérien e turinois che corporalizza il Grand Carillon, le Grand Con che tiene il desiderio morbidamente teso, sospeso, come il tiramisù che, anziché il pan di spagna, ha come base l’impareggiabile savoiardo che, a strati, si fa tessuto connettivo intriso di caffè e farcito con mascarpone mescolato a uova, zucchero e panna montata, ricoperto da un velo di cioccolato in polvere e servito freddo, ha il grado elevato del mou, quel “mou” delle “tomates” che à Turin Silvia Crocetti demandait. Tale, è questo, così, il cul-tale di Silvia Crocetti, ha la protensione mou de la tomate, pomodoro o capocchia che sia, dolce tiramisù che connette il dolce savoiardo intriso e farcito di panna di libido montata.
[1] Cfr.Roland Barthes, Sade, Fourier, Loyola, trad.it. Einaudi, Torino 1997trad.cit.:pag. 112.[2] Ibidem: pag.117.
V.S.GAUDIO
Le Bonheur Chambérien