LA BHAKTI TRA AMORE DIVINO E OPERA NEL MONDO. LA VITA DI SAN FRANCESCO NEGLI AFFRESCHI DI GIOTTO AD ASSISI (PARTE TERZA) di Fabrizio Fittipaldi.
Da Csbmedia
…Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l'Universo a Dio fa simigliante(1).
Questa seconda citazione dantesca ci fa capire come l'opera di Francesco abbia finito per trasformare radicalmente la cultura e la società dell'epoca e come abbia saputo mantenersi e rinnovarsi fino ai nostri giorni, non molto diversamente da quanto abbia fatto il messaggio del suo grandissimo ed eterno Maestro, Gesù di Nazareth, che incarnò questi stessi principi di Amore, fino al limite estremo del proprio stesso sacrificio sulla croce, con lo scopo di trasmettere questo eterno e universale messaggio di compassione e misericordia sconfinate. Questo stesso spirito di sacrificio è condiviso, se pure in misura diversa, sia da S. Francesco, sia da Giotto. Le scene che descrivono le intense attività politiche e sociali di S. Francesco dimostrano che egli non solo dedicò ogni respiro della sua vita al servizio di tutte le creature, ma che lo fece anche impegnandosi intensamente per offrire strumenti concreti affinché tutti potessero prendere parte a questo suo cammino di autorealizzazione. Non solo definì la regola che, attraverso le sue norme, permette di superare gli ostacoli straordinari dei condizionamenti e degli attaccamenti, ma si prodigò affinché questo suo progetto prendesse corpo, nonostante le grandissime difficoltà che la sua epoca presentava, con strutture di potere pronte a soffocare nelle persecuzioni e nei roghi ogni visione che differisse dai canoni ufficialmente riconosciuti. Innocenzo III, che acconsentì alla richiesta di Francesco, fu il papa che, non solo promosse e sostenne numerose crociate, ma che legalizzò la tortura. La disponibilità di Francesco a confrontarsi con la società nel suo complesso è riflessa nella scena della “Morte del cavalier Celano”, che non solo rimanda al ruolo che questa rilevante personalità ebbe nel sostenere il movimento francescano, ma che evidenzia il tema, di straordinario rilievo sul piano psicologico e spirituale, dell'assistenza in punto di morte da parte di chi può modificare radicalmente le nostre sorti future. In tutte le tradizioni religiose il livello di coscienza conseguito al momento della morte stabilisce la nostra destinazione futura(2). Una terza scena ci fa riflettere sui rischi personali che S. Francesco assunse cercando di interporsi tra le poderose forze che con sanguinose battaglie si contendevano la Terra Santa e le ricchezze materiali e spirituali che questa custodiva. Descrive il viaggio di Francesco a Damietta, in Egitto, al cospetto del nipote del Sultano, il quale guidava le forze “saracene” nella guerra difensiva che le vedeva impegnate contro le legioni dei crociati. Francesco, avendo trasceso gli impulsi che travolsero tante altre personalità religiose dell'epoca, non si lasciò irretire dal fanatismo religioso e determinatamente decise di far prevalere il dialogo, sottoponendosi al rischio del martirio. Accompagnato da un discepolo si imbarcò in quella che può essere considerata la prima e la più autentica missione di pace che, pur non avendo prodotto nessun risultato concreto, permise un sincero confronto col nipote del Sultano, che dovette arrestarsi solo di fronte alle violente resistenze dei teologi dell'Islam, niente affatto disposti ad accettare l'universalità del discorso di S. Francesco, che pure, nei suoi contenuti, rispecchiava in pieno il più autentico e puro messaggio del Corano e dei mistici sufi, che meglio di chiunque altro ne incarnano lo spirito. Nella vita del santo, il senso della responsabilità personale si esprime al massimo livello, non solo nello sforzo di offrire un modello di purezza, ma anche nel desiderio di manifestare la propria devozione con ogni strumento che la divina provvidenza ha voluto concedergli, intelligenza e senso pratico compresi. Giotto stesso si lasciò ispirare profondamente da questo modello e decise di dedicare la propria vita alla trasmissione di questi valori, attraverso tutti gli strumenti che con duro lavoro, determinazione e perseveranza, affiancati da un'intelligente pianificazione, era riuscito a rendere disponibili alla propria arte. La sua dedizione si esprime attraverso la perfezione con cui seppe realizzare le sue opere. Giotto aspira a diventare servitore della sua arte ed impara a sviluppare queste eccellenti qualità umane e spirituali, servendo nella bottega del suo maestro, Cimabue. È lì che impara a gestire le complesse dinamiche della bottega d'arte, con la piena consapevolezza che nasce da una umile disponibilità ad impegnarsi in qualsiasi attività: dalla cottura della fetida cola di pesce, alle spedizioni alla ricerche delle migliori pietre e metalli da cui ricavare i migliori colori, fino alle approfondite pulizie necessarie al buon funzionamento del laboratorio. È attraverso questo processo, che mette alla prova la sua sincera dedizione e la sua autentica vocazione, che l'artista impara a diventare strumento al servizio della sua arte e dei soggetti che questa è chiamata a rappresentare. L'arte è sotto ogni aspetto un sentiero di realizzazione spiritale, un mezzo con il quale è possibile attraversare il “Gran mar dell'essere” e giungere alle sponde del mondo spirituale. Solo l'ignoranza può farci sottovalutare il peso e l'impegno, concettuale e organizzativo, ma anche fisico, che la realizzazione di grandi cicli di affreschi e di altre grandi opere comporta, e il livello di concentrazione sovrumano, che una tecnica come quella dell'affresco implica, per la sua impossibilità a rimediare al più piccolo errore. Solo l'autentico sentimento della bhakti permette di sopportare i disagi che immancabilmente si presentano nella realizzazione di queste grandi imprese. Questo impegno ricorda quello degli architetti e scultori dei templi Hindu che, spesso ricavati da blocchi di roccia preesistenti, vengono rifiniti in ogni dettaglio e senza nessun margine di errore, poiché esso comporterebbe il completo fallimento dell'impresa, rendendo l'intero complesso inadeguato ad accogliere, come sua dimora, la Divinità.L'arte e la santità sono vocazioni che prevedono il pieno sacrificio di sé, volto alla celebrazione del divino e alla Sua più eccellente forma di glorificazione: la narrazione delle Sue avventure e di quelle dei Suoi puri devoti.
(1) Dante, Divina Commedia, Paradiso, canto I, 103-105.
(2) “Chiunque, alla fine della vita, lasci il corpo ricordando Me soltanto, raggiunge la Mia natura. Non vi è alcun dubbio. Qualunque condizione di esistenza si ricordi all'istante di lasciare il corpo, o figlio di Kunti, quella stessa condizione sarà senza dubbio raggiunta”. Bhagavad-gita VIII.5-6
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