Primo: i tempi sono maturi per riconoscere che ignorare la religione nello studio della nostra letteratura significa amputarla e anche deformarla. Geniale ma fazioso, De Sanctis la faceva partire dal contrasto di Cielo d’Alcamo, un irriverente testo laicista e maschilista, mentre oggi nessuno nega che è incominciata con il Cantico di Francesco e la Lauda di Jacopone, un salmo in volgare e un dramma-preghiera.
Secondo: la religione irrora la letteratura non solo nel genere dei trattati teologici e delle preghiere, dei quaresimali e dei libri di devozione – la «Letteratura religiosa» oggetto del recente volume di Rita Librandi, edito dal Mulino –, ma la letteratura senza aggettivi, quella dei massimi autori, trattata nell’opera collettiva sulla Bibbia nella letteratura italiana, pubblicata dalla Morcelliana, su cui verteva la relazione inaugurale del convegno. Senza religione non si perdono solo Savonarola o Alfonso de’ Liguori, che già sarebbe una mutilazione grave, ma non si intenderebbero appieno Dante e Petrarca, gli umanisti e Tasso, Metastasio e Manzoni, e neppure i cosiddetti 'lontani', da Leopardi a Pirandello.
Quanto ai contemporanei, echi del sacro sono stati colti dai relatori, nei poeti, da Rebora a Luzi, ma anche in un cantautore, De André, e nei registri, da Rossellini a Moretti: due generi che oltre Oceano sono spesso studiati nel loro intreccio con la letteratura. Com’era da aspettarsi, l’autore più trattato a Toronto è stato Dante, che ai critici americani interessa soprattutto per le implicazioni teologiche, in polemica contro quelli, per pregiudizi crociani o avversione ideologica, vorrebbero separare la poesia dalla profezia. Come disconoscere che la pronta recezione del Purgatorio, ignorato dai coevi poemi sull’aldilà, è un grande acquisto umanistico oltre che teologico? Una costante emersa negli scrittori considerati è il confronto con la Parola sacra, reinterpretata e fatta propria, per dare un senso alla loro parola, per giustificarla, 'renderla giusta', e cogliervi significati nuovi e fermenti lievitanti.
FONTE: PIETRO GIBELLINI in Avvenire del 09/11/2012