Nell’ottobre del 1828 Virginia Woolf, invitata a tenere due conferenze sul tema “Le donne e il romanzo”, rifletteva sull’enorme difficoltà per le donne di accedere alla cultura e alla scrittura: «L’indifferenza del mondo che Keats e Flaubert e altri uomini di genio trovavano così difficile da tollerare, nel caso delle donna non era indifferenza ma ostilità. A lei il mondo non diceva, come agli uomini, Scrivi pure, se vuoi; per me non fa alcuna differenza. Il mondo, sganasciandosi dalle risate le diceva: Scrivere? E a che ti serve scrivere?». Queste considerazioni, che hanno trovato posto nel celebre saggio “Una stanza tutta per sé”, bene introducono il lavoro di Erin Blakemore, “The Eroine’s Bookshelf”, pubblicato nel 2010 per HarperCollins e ora tradotto da Elisabetta Stefanini per Orme Editori (pagg. 190). L’autrice indaga sulla condizione femminile dal XVIII ai giorni nostri, ripercorrendo con grande passione per la letteratura il rapporto tra la donna e la scrittura. Protagoniste sono dodici eroine letterarie che ci hanno fanno sognare, ostacolate da mille pregiudizi, solitudine o matrimoni sbagliati, come anche le loro creatrici, da Jane Austen, fino ad Alice Walker e Harper Lee, a noi contemporanee.
“Come le loro eroine, queste scrittrici hanno sopportato molto” - la Blakemore fa eco alla Woolf - perché duecento anni fa una donna perbene non scriveva. Molte hanno scritto in segreto; Jane Austen pubblicava anonimamente i suoi libri, Louisa May Alcott e Charlotte Brontë furono costrette a pubblicare le loro opere con pseudonimi maschili. Anche Margaret Mitchell fu oggetto di scandalo e derisione per aver scelto di lavorare come giornalista. «Donne capaci di spaccare legna e di rispondere per le rime alle critiche più disgustose, donne che avevano il fegato e la voglia di scrivere anche quando non avevano né luce, né riscaldamento, né salute».
Donne raccontate da donne in un parallelo interessante tra vite “di carta” e reali, che ci permette di scoprire una forza straordinaria: indimenticabile l’ambizione di Jo March nell’inseguire il sogno di scrivere, l’indulgenza di Claudine, figlia letteraria di Colette nella Parigi fin de siècle, oppure lo spirito battagliero di Rossella O’Hara e la costanza di Jane Eyre.
A fine di ogni capitolo, degno di nota è il parallelo che l’autrice crea tra eroine della letteratura, affini per temperamento o sofferenze, per esempio, le sorelle letterarie di Celie, indimenticata protagonista de Il colore viola di Alice Walker, sono Sethe in Amatissima di Toni Morrison e Offred de Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood.
Solidarietà tutta al femminile quella che la Blakemore dimostra nel consigliare alle lettrici i momenti migliori per rileggere i libri che abbiamo sempre amato, fin dall’infanzia, come una terapia, perché i libri «ci nutrono durante un divorzio, in caso di licenziamento o quando tronchiamo un rapporto ingiusto, mentre tiriamo su figlie testarde e quando pretendiamo ciò che ci è dovuto. Ci danno conforto quando ci sentiamo malinconiche perché contengono parole di cui abbiamo disperato bisogno». Leggere la storia di Scout Finch, protagonista de Il buio oltre la siepe di Harper Lee, «prima di andare in tribunale o di concentrarsi su un lavoro particolarmente disgustoso, con la vostra bambina o quando siete stufe di sentire le notizie urlate dalla tv», oppure quella di Lizzy Bennet «come antidoto all’eccessiva serietà o quando la vostra “accontentatrice d’altri” interiore minaccia di soffocare il vostro istinto animale».
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