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A volte mi chiedo se non sto leggendo troppo… Sì, perché spesso non mi bastano i semplici libri, no. Vado oltre, spingendomi verso riviste e fumetti, con la straripante contentezza del mio edicolante. Fumetti… un grosso pezzo della mia vita, fin da quando ancora usavo l'autobus per andare alle medie e prima di entrare in classe mi fermavo a controllare se fosse uscito l'ultimo numero di Zero. All'epoca ancora i manga non si erano affermati sul nostro suolo, costretti ad una pubblicazione a puntate su un paio di riviste contenitore. Poi il mondo è cambiato. Con Ken il guerriero, Appleseed, Patlabor, e via così, i fumetti giapponesi sono approdati nei nostri scaffali divenendo in breve un fenomeno di culto ancora oggi più che mai vivo. Forse troppo… Già, perché se da un lato la maggior quantità si traduce in maggior scelta, dall'altro si viene a creare un effetto indigestione traumatico: troppi titoli, serie dopo serie (spesso dai costi non proprio abbordabili) delle quali, a voler essere onesti, poco si salva dalla mediocrità e dai soliti canoni triti e ritriti. Con questo non voglio dire che chi legga Dragonball, One Piece o Naruto, tanto per citare tre fra i più famosi, non sia meritevole di rispetto, anzi. Penso solo che scremando un po’ si riesca a trovare perle rare e di maggior valore. È il caso de "La bicicletta rossa" I fumetti coreani si sono spinti fin da noi da poco, se si escludono casi rari che si contano a malapena sulle dita di una mano monca, ma quando lo fanno si vede. L'autore di questo, Kim Dong-Hwa, ha ormai abituato i suoi fan a prodotti eccelsi, sempre improntati sulle sensazioni, sulla vita vera e la poesia che ne nasce, e La bicicletta rossa non è da meno. Siamo in Corea, più o meno sul finire degli anni settanta/ottanta, nei pressi di un piccolo e sperduto paesino di campagna. Le case qui non hanno indirizzo, o meglio, lo hanno ma tutti le conoscono con nomi che servono a raccontarle più che a raggrupparle in schemi e indirizzi. La casa dei cachi, la casa recintata dal campo di fiori, la casa degli uccelli… nomi evocativi, che contribuiscono a trasformare quel piccolo villaggio in qualcosa di più. Vita semplice, valori profondi che ancora significano qualcosa e unico collegamento con il mondo esterno un postino solitario, che percorre le strade in terra battuta con una bicicletta rossa. Ogni volume, in tutto quattro, si presenta in maniera egregia: carta molto buona, copertina cartonata e stampa a colori. Il prezzo, all'epoca in cui uscì, era di quasi 15 euro, non poco se si pensa che si tratta di un fumetto. Ma credetemi se vi dico che sono stati soldi spesi bene. Anche i disegni, dall'aspetto semplice ma non per questo banali, ricercano sempre la giusta prospettiva, risultando morbidi e piacevoli anche grazie al magistrale lavoro di colorazione. Le storie all'interno possono quasi essere considerate dei corti: quattro pagine ognuna, non di più, per raccontare un sogno, una poesia, mostrare una storia che nasconde un mondo e poi passare ad altro. Un susseguirsi di emozioni che, ve lo dico con il cuore in mano, mi hanno commosso e riempito l'anima. Sono poche le opere d'arte, perché di questo si tratta, che hanno avuto il potere di scuotermi e regalarmi così tanto, e non posso fare a meno di rivolgergli un pensiero, di tanto in tanto, con la promessa che tornerò di nuovo a pedalare con il postino su quella bicicletta rossa. E so che lo farò. Perché ne vale la pena, perché il tempo che abbiamo è sempre di meno e mi sembra giusto utilizzarlo per ciò che considero… bello. Forse non v'interesserà, forse qualcuno di voi lo conosce e capisce di cosa parlo, non importa. So solo che se anche uno solo di chi leggerà questo articolo vorrà scoprire cosa riserva la lettura di questo fumetto, allora per me sarà la maggior soddisfazione possibile. A volte mi chiedo se non sto leggendo troppo… ...a volte mi rispondo che non è mai abbastanza.
Un'ultima segnalazione: questo post, e quelli che verranno a riguardo, sono stati ispirati da Germano Hell Greco e da questo suo post. Citazione doverosa e sentita :)
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