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Era una bambina e a chi le chiedeva “Che cosa vorresti fare da grande?”, rispondeva: “Il facchino”. Sognava di essere il personaggio che all’epoca portava valigie non ancora modernizzate con le rotelle e che abitava la stazione, il luogo delle partenze verso mondi lontani. Quella bambina era Luciana Castellina, già dirigente comunista, giornalista, parlamentare, scrittrice, una vita ricca di esperienze. Ora protagonista di un film autobiografico, curato con sensibilità e intelligenza da Daniele Segre, un regista “operaio” che ha incontrato una donna che col mondo operaio ha avuto molto a che fare. Quell’episodio della bambina che voleva fare il facchino è stato ripreso l’altra sera alla Casa del cinema di Roma da Ettore Scola intervenuto, prima della proiezione, davanti a una folla assiepata in una sala “raddoppiata” per far fronte all’evento. La bimba era attirata dalla figura del facchino, spiegava Scola, perché Luciana sognava di partire e ripartire come ha fatto sempre, con tanto coraggio, con la stessa valigia piena di passioni e curiosità.
Ed è anche un viaggio, quello raccontato da Segre-Castellina dentro il Partito comunista italiano. Con le prime nozze con il primo marito Alfredo Reichlin (Pietro Ingrao a fare da testimone). E poi i due figli Pietro e Lucrezia, oggi affermati economisti. Storie personali intrecciate a storie politiche. Lei viene da una famiglia che all’epoca si etichettava come “borghese”. Fa le prime scuole con Anna Maria Mussolini, ai tempi del fascismo. Scopre dopo la guerra il partito comunista e s’impegna nella militanza in quel “paese nel paese” come diceva Pasolini. Nei primi piani di Luciana, nel viso bellissimo che alterna sorriso a commozione c’è un racconto che a volte ricalca il suo libro già finalista al Premio Strega nel 2011 “La scoperta del mondo”. Scorrono le immagini della sua adolescenza quando si crucciava perché “non aveva le tette” e pensava che i ragazzi la scansassero. Un timore rapidamente superato. Anche se lei non nasconde il suo pudore: "Sembrerò un mostro, una persona fredda, senza sentimenti. Ma parlare dei miei amori, no, non posso".
Scorre in tutta la pellicola il ricordo di partiti, formazioni politiche, un ricordo che forse potrebbe suggerire qualche cosa anche alle attuali esperienze organizzate. Come, ad esempio, nella capacità di mantenere un dialogo permanente con gli intellettuali dell’epoca, da Rossellini a Guttuso. Erano tempi in cui nelle sedi del Pci, ma anche della Dc, si realizzavamo mostre d’arte. La cultura impregnava l’attività politica. E Luciana coltivava i suoi viaggi a Parigi, nel cenacolo di Sartre o partecipava, in Jugoslavia, con altri giovani, trascinando carriole, alla costruzione di una nuova ferrovia.
E poi, certo, la drammatica separazione dal Pci perché lei va col gruppo del “Manifesto” di Rossana Rossanda e Lucio Magri, il secondo grande amore della sua vita. Sono tempi di discussioni infinite, di emozioni infuocate, anche davanti ai cancelli della Fiat. Il regista sfoglia le tante fotocopie degli articoli dedicate alle lotte dei metalmeccanici. Anche questo un amore della sua vita. Le parole s’intrecciano agli album di fotografie, a episodi di vita quotidiana in quella che lei chiama la sua “tribù”, dove si sono mantenuti rapporti di amicizia. E dove i nipotini la tempestano di domande allegre e impertinenti. Come quando non credono che la nonna possa essere stata arrestata perché durante una manifestazione prendeva ad ombrellate un poliziotto. Altri tempi, altri partiti. Ma non c’è piagnucolosa nostalgia nella confessione di Luciana. C’è semmai orgoglio per aver potuto vivere esperienze tanto emozionanti. “Nonna, ma davvero tu sei comunista?” inquisisce un altro piccolo. E lei risponde riaffermando la propria identità, così come
aveva fatto aderendo a quel gruppo “radiato” perché rivendicava la libertà del dissenso anche nei confronti di esperienze come quelle sovietiche che in sostanza andavano tradendo antichi ideali. Quelli che lei ribadisce: “Eguaglianza e libertà”. Sempre pronta a ripartire, con la stessa valigia, le stesse passioni. Il suo modo d’essere “facchino”, facchino di idee.
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