La Binetti non è molto amata, visto il suo estremismo cattolico e le sue uscite fondamentaliste. Oggi ne ha detta una che potrebbe essere considerata una difesa ingiustificata dei preti, troppo spesso considerati (a torto) omertosi, ma che in realtà ha una sua giustificazione giuridica che può essere rinvenuta nell’affidamento delle persone in un istituto religioso ancora molto sentito.
Ma prima eccovi prima di tutto le esatte parole della Binetti sulle quali andrò a fare la mia personale riflessione:
Se durante il sacro momento della confessione, un sacerdote viene a sapere di un atto pedofilo, non è obbligato a denunciarlo.
Faccio una premessa. Con questo post non voglio certamente difendere i pedofili o l’omertà. Voglio semplicemente spiegare il perché la Binetti non ha detto una cazzata, seppure apparentemente possa esserlo.
Ciò premesso, la verità è che il prete è un officiante di una religione riconosciuta dallo Stato che somministra un sacramento chiamato “Confessione”. Chi è cattolico – ma anche chi non lo è – conosce bene la Confessione. Essa permette al sacerdote di conoscere dei fatti personali dei confessanti che altrimenti non potrebbe conoscere. Le persone, in questi termini, si affidano alla confessione nella certezza matematica e assoluta che il sacerdote che la raccoglierà terrà per sé quanto confessato. Diversamente nessuno parlerebbe con un prete.
Se questo è vero, è anche vero che la nostra legge tutela il segreto professionale o d’ufficio, e cioè il segreto che deve tenere chi, in ragione del propria attività professionale, del proprio ministero o del proprio ufficio pubblico (anche religioso), conosce dei fatti privati delle persone. Al segreto professionale sono principalmente tenuti gli avvocati e i giornalisti, mentre al segreto d’ufficio sono tenuti i pubblici dipendenti, i magistrati e le forze dell’ordine.
Mi soffermo sul segreto professionale, perché è quello che più si avvicina al segreto confessorio. Il segreto d’ufficio, infatti, ha una finalità differente rispetto al segreto professionale: esso è finalizzato alla tutela dell’interesse pubblico e della giustizia. Perciò, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio sono tenuti a denunciare i fatti di reato che apprendono in ragione del loro ufficio.
Diverso è il segreto professionale. Prendiamo a esempio l’avvocato. L’avvocato per le evidenti ragioni della sua professione – la difesa – apprende fatti e comportamenti del proprio assistito che in sé potrebbero essere considerati reato. E non parlo solo del reato per il quale il cliente si è rivolto all’avvocato, ma anche di altri e ulteriori fatti ignorati e/o non conosciuti all’autorità giudiziaria e per i quali normalmente vi sarebbe l’obbligo di denuncia.
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Ebbene, l’avvocato non può né deve procedere a una denuncia del proprio assistito per quei fatti, poiché egli li ha appresi in ragione della sua assistenza professionale, e dunque in ragione dell’affidamento del suo assistito, che in un ottica di piena fiducia, ha ammesso i propri reati nella consapevolezza che l’avvocato non andrà a denunciarli.
Chiaramente l’avvocato potrebbe farlo. Ma se lo facesse violerebbe prima di tutto la legge (e la Costituzione), e poi il codice deontologico. La sua professione sarebbe gravemente compromessa e rischierebbe la radiazione dall’albo per grave violazione del segreto professionale.
Per il sacerdote il ragionamento è simile. La confessione è un istituto religioso per il quale la legge riconosce al sacerdote che la esercita il segreto, relativamente ai fatti che egli ha appreso durante la sua somministrazione. In altre parole, la legge non può obbligare né pretendere che il sacerdote riferisca sempre e comunque atti o fatti che egli ha conosciuto in ragione dell’affidamento del credente.
Tant’è che anche a livello processuale, il segreto della confessione può essere opposto al giudice, quanto il sacerdote viene chiamato a testimoniare. Egli può sottrarsi all’ufficio di testimone e il giudice difficilmente gli ordinerà di testimoniare (con l’obbligo della verità), salvo non ritenga che le ragioni di opposizione siano infondate.
La Binetti dunque non ha raccontato roba fantascientifica. Ma ha semplicemente affermato una verità normativa esistente da secoli. Ella non a caso precisa che se il prete conoscesse del reato di pedofilia fuori dalla confessione ha l’obbligo giuridico ed etico di denunciarlo all’autorità.
di Martino © 2012 Il Jester