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La bussola dell’aspirante scrittore: aggettivi e non solo

Da Marcofre

Sugli aggettivi: la prosa di qualità si basa sempre sui verbi, che sostengono le frasi e le fanno andare avanti.

 

Forse in passato ho già scritto a proposito di aggettivi, non ricordo. Il brano che ho riportato è del solito Scott Fitzgerald. Come sempre questo scrittore in una frase scolpisce il mondo, e anche una parte consistente dell’universo. Perché è uno scrittore? Certo; però a volte capita di leggere certe sentenze di scrittori italiani, da prendere a testate gli spigoli dei muri.

Gli aggettivi dunque. Sono pericolosi, questa è la mia idea. Sono una comoda scappatoia per creare una scrittura piatta, e perciò prevedibile. Non si deve sorprendere il lettore a ogni parola, questo no; tuttavia non è necessario appesantire la frase, e quindi affaticarlo.

Spesso ne uso (o usavo?) un paio: pessima abitudine. Uno basta e avanza, eppure mi sfuggono e finiscono sulla carta (digitale). Per fortuna esiste la rilettura, e la riscrittura. Però non è sufficiente, non basta tagliare.

Bisogna darsi il tempo e riflettere. Perché non di rado ci si rende conto che nessuno dei due aggettivi è davvero necessario. Basta usare un sostantivo più muscoloso (un buon dizionario dei sinonimi o contrari è un aiuto senza pari, provare per credere); oppure si immagina la frase in maniera differente.

Ma come si fa? Ce lo dice lo stesso Scott Fitzgerald: punta la tua attenzione sul verbo, rendilo l’architrave della frase. Solo dopo assembla il resto, modellalo avendo lui come regista più o meno occulto. Sembra facile, ma non lo è affatto; almeno per me.

Però si ha una pallida idea di che cosa vuol dire scrivere. In pratica, si diventa matti, perché devi tenere i fili di un mucchio di cose: Il lettore; l’efficacia della narrazione, il valore della storia. Gli avverbi che come dice Stephen King possono andare in un dialogo, ma altrove… I verbi secondo Scott Fitzgerald.

Il consiglio di Scott Fitzgerald merita considerazione non solo perché a parlare è uno scrittore di grande livello. A parer mio, il verbo offre alla frase la necessaria asetticità per costruire una frase, o paragrafo carico di forza. Nessuno bada ai verbi, ma tutti hanno occhi per i sostantivi. Se ci sembrano zoppicanti, malfermi, tisici, una bella cura di aggettivi, avverbi, e voilà.

A questo punto sentiremo un au revoir! da parte del lettore, perché avremo giocato con la sua pazienza, e sfinito, ci lascerà soli.

Credo che invece nella rilettura si debba mettere al centro della frase proprio il verbo, e ricominciare da quello. Ci proverò, visto che sto rileggendo alcuni miei vecchi racconti, e prima di passare alla loro riscrittura è bene sottoporli a questo trattamento.

Farò sapere…


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