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La bussola dell’aspirante scrittore: essere interessante

Da Marcofre

Quali sono le parole che uno scrittore o meglio, chi aspira a tale ruolo, deve considerare come una sorta di bussola?
Non è facile rispondere, perché per fortuna non ci sono regole; al massimo spunti di riflessione, idee. Dopo aver letto un po’ di Carver e O’Connor, osservo i due libri, li riapro e ne rileggo un paio di paragrafi; e ci medito sopra.

Se ricordo bene, Henry James (zio Henry scriveva Flannery O’Connor, se la memoria non mi inganna), affermava che un libro deve essere almeno interessante. Non sto a ripetere le solite cose come si vede: vale a dire scritto in un italiano corretto, e bla bla bla. Facciamo un passo successivo.

Essere interessante: cosa diavolo avrà voluto dire James? Dietro a questa affermazione ovvia, forse c’è molto di più; ma cosa?
Provo a rispondere. Interesse significa qualcosa per cui il lettore è disposto a spendere il proprio tempo. Quindi: non deve apparire interessante a me, devo piuttosto comprendere come due settimane a Stoccolma possono apparire un ottimo tema per un racconto ai miei occhi. Ma forse non a quelli degli altri.

Essere interessante. Significa scendere dal piedistallo, accettare l’esistenza di un’entità (da non idolatrare), chiamata “lettore”, che non è affatto pronta a stramazzare al suolo di fronte alle mie parole. Anzi.
Il mio ombelico (i miei viaggi; la mia ragazza che mi ha piantato; quella volta che ci siamo ubriacati e abbiamo cantato a squarciagola sotto le finestre, e siamo scappati all’arrivo dei Carabinieri: sai le risate), non è un buon tema.

Per come la vedo io: essere interessante significa partire da una persona, non da un’idea. Carne, sangue, muscoli e nervi. Occhi.
Se rivedo i miei dieci racconti pubblicati da gennaio a marzo, trovo persone. E l’esperienza? Un contorno, un dettaglio che aiuta, diciamo che serve per fornire un contesto che non sia strampalato; ma basta.

L’idea? O le idee? Quando ho iniziato anni fa, ne ero zeppo, ma ero giovane, inesperto. Lentamente, ho capito che i personaggi erano schiacciati dalle mie idee: nobilissime, manco a dirlo. In questa maniera, bastava poco per trasformare un racconto, in un trattato di saggistica, per di più noioso. Allora ho scoperto una parola strana: empatia.

Qualunque dizionario fornisce spiegazioni più che adeguate al riguardo, ma secondo me significa: occhi, carne, sangue, muscoli, nervi, eccetera eccetera. Lo so, l’ho scritto qualche riga fa.
Per me è stato quasi una rivoluzione copernicana, e non sono affatto sicuro di aver compreso appieno la sua portata. Mi conforta un fatto: che la scrittura è un apprendistato lungo tutta una vita.

E tu, che ne dici?


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