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La caccia

Da Marcofre

Una volta che si è definita l’arte come la capacità di scrivere qualcosa di efficace e di valore, sembra fatta, non è vero? Non proprio, anzi; e non mi riferisco a chi obietta e definisce una tale ambizione “robetta”. Mi spiace: ma chi la pensa in questa maniera avrà un discreto avvenire.

Se scriverà, avrà dalla sua la palma della vittoria.
Se criticherà, avrà l’opinione della maggior parte delle persone.

È “robetta” perché costoro seguono l’idea che per raccontare storie sia sufficiente… Scrivere. Buttare giù parole, usarne in quantità. Oppure, ricorrere ai trucchi del mestiere.

Nei termini “efficacia” e “valore” esiste in realtà la chiave di tutto. Narrare vuol dire comunicare. Ci si riesce quando non si parla di aria, emozioni o chiacchiere. Ma se ci si affida alle giuste parole per rendere questa realtà tangibile come una martellata sulla mano. Il resto? È intrattenimento, non letteratura. Ma può bastare?

Non credo. Perché il valore si sposa con la realtà e questa è un’affermazione che significa tanto, o forse poco. Che cos’è la realtà? Una questione che fa il paio con quell’altra, ancora più impegnativa: che cos’è la verità.

Forse una parte della risposta sta nella scrittura, ma di certo una parte resterà nascosta e sepolta a lungo, forse per sempre. La realtà inizia a palesarsi quando si esce dai luoghi comuni, dalle chiacchiere e ci si rifugia nel silenzio. Si tace per fare spazio non a se stessi, ma alla storia.

È una brutta realtà: zoppa, storta, che puzza e si gratta perché piena di pulci. Oppure non è proprio così, ma è carica di un dolore cupo, un segreto da non dire ma da abbozzare appena.

E lì da qualche parte si nasconde, sotto quella coltre pesante e sudicia, una verità, anzi la verità. Non quella personale, mia, o soggettiva. Ma quella grande, scomoda.
Come si chiama? Qual è il suo nome? Posso solo rispondere: buona caccia.


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