“Noi in questo periodo andiamo sempre giù a Zarm”.
Una frase che senti dire da quel tipo di signora frequentatrice del centro e nello specifico della categora: abbronzate croniche.
Occhio perchè esiste un’abbronzatura cronica che va al di là delle lampade, delle vacanze, dei Caraibi, di Zarm appunto, che sarebbe Sharm El Sheik, chiamato molto più confidenzialmente Sharm (come se El Sheik fosse un cognome inutile) o Zarm come si dice a Bologna, luogo in cui le esse diventano zeta come ridere, soprattutto sotto la galleria Cavour o sotto al Pavaglione. La pelle, già cotta e stracotta da millenni di sole, è come se dicesse “io sono già abbronzata, basta, pietà, vi supplico!”, e si presenta già abbronzata da sola, per disperato senso di sopravvivenza e per vedere se riesce a stare dieci minuti all’ombra o comunque senza niente di rifrangente addosso.
Zarm è la mecca dell’inverno.
Il posto dove il bolognese trova sublimazione totale perchè può dire al ritorno frasi come: “Ah, eravam tutti là, c’eran tutti; c’era tutta Bologna”.
Frasi che evidentemente sono molto importanti per sottolineare che in vacanza è stupendo ed estremamente rassicurante vedere sempre le stesse facce che vedi tutti i giorni.
Brutto sarebbe ‘staccare’ e vedere altri visi ignoti, misteriosi, e forse minacciosamente estranei.
“E’ meraviglioso perchè qui è già freschino mentre là è estate piena, gran sole. E quando torni si va verso dicembre che quà è già freddo; si torna rigenerati. Io e mio marito faccimao così tutti gli anni”.
E il fare così tutti gli anni è una cosa che, come noto, per il bolognese rappresenta qualcosa di irresistibile, una specie di coperta calda contro il gelo del mondo, la ripetizione del gesto, del viaggio, dei posti, delle facce, un qualcosa di paradisiaco, la sicurezza per antonomasia.
Cosa si fa poi a Zarm tot al dè?.
L’ho scoperto la settimana scorsa ascoltando di straforo un dialogo fra due affascinanti tartarugone a passeggio (tartarugone è detto affettuosamente, sia chiaro, come potrebbe esserlo per i Rolling Stones).
Oltre a prendere il sole e planare come aquile del Gran Canyon conle dite già predisposte a pinza sui buffet dei grandi alberghi, si gioca a carte.
Diceva la signora: “Sai si gioca a burraco tutto il giorno. Io ho vinto il torneo. Mi han dato la Coppa di Campionessa d’Egitto!”
E la signora ha ridacchiato ma in realtà era serissima.
Hai capito gli egiziani che furboni?
Vai là, giochi a carte e vieni via che sarai per sempre Campionessa d’Egitto.
Di burraco.
Tornei acerrimi, durissimi, con incazzature siderali a cui conseguono cirisi coniugali che nemmeno 20 anni di matrimonio avevano mai provocato.
Ma se si diventa campioni d’Egitto nessun problema.
Si passa sopra a tutto.
E forse si arriverà ad un gran circuito di burraco che toccherà tutte le grandi località di villeggiatura del mondo dove la Campionessa d’Egitto potrà legittimare il titolo.
La formula “buffet e burraco” rappresenta un cocktail irresistibile.
Ci son da considerare i danni che può creare ul fatto di diventare Campioni d’Egitto di burraco.
E cioè che quando si torna si diventi improvvisamente intrattabili, non ci si degni di giocare più con nessuno e si pretenda di firmare contratti con la Nike.
“Solo che c’è lui là che è un cretino, non si può giocare con lui, non capisce niente e con le carte in mano è un rincoglionito”.
‘Lui là’ è di solito il marito, tartarugone buono, che va a Zarm in pace non con l’ascia di guerra nella borsa.
‘Lui là’ non si arrabbia mai.
Lascia correre.
Perde puntualmente e, puntualmente, gliela dà su.
E quando torna a casa e incontra un amico può anche rispondere, con fare pacioso, a chi gli chiede come sta sua moglie: “Lei là? è la Campionessa d’Egitto”.
Come dire “di ‘sti du…”